La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 9 - novembre 1995

fuori dal proprio paese. Mi trovai a rastrellare l'arida boscaglia della memoria, a ricordare i miei anni più giovani nella speranza che mi aiutasse a vederci meglio nella situazione in cui mi trovavo; venivo da una regione del Corno cl' Africa con una storia di tumultuose espropriazioni, una regione che ha conosciuto più anni di guerra civile che di pace e stabilità. Ecco ciò che ricordai: ricordai come tutta la mia famiglia si trovò coinvolta in una guerra di attrito tra la Somalia e l'Etiopia; ricordai come la mia famiglia era fuggita attraversando un confine che i somali si erano rifiutati di riconoscere; ricordai come a Mogadiscio, il posto in cui ci eravamo rifugiati, cominciammo a ricostruire la nostra identità sulla base di un idealismo che aveva il suo correlato ideologico nel nazionalismo. All'epoca, tutti i somali avevano nel cuore la nuova idea di nazione, e nessuno di quelli che erano appena arrivati dalle zone di guerra fu trattato come un rifugiato: fummo accolti a braccia aperte, come se fossimo arrivati a casa. (A guell'epoca tutti quelli che erano nati in Somalia avevano il diritto di chiedere la cittadinanza nella Repubblica appena formata, che non aveva riconosciuto le frontiere che la separavano dal Kenia o dall'Etiopia). Ricordai i giochi di fantasia della mia infanzia: da ragazzo assumevo mentalmente forme animali, trasformandomi in uccello, coccodrillo, leone e serpente. Mi chiesi se sarei riuscito a mantenere tre cittadinanze, emigrando da un paese all'altro - da quello in cui ero nato al territorio scaturito dal bisogno di restare fedele agli ideali della vocazione dello scrittore, e poi a Roma, la mia nuova casa. Fu durante questo periodo di autoanalisi che incontrai un vecchio amico danese, al quale raccontai tutto quello che era accaduto, aggiungendo che volevo tenere in vita il mio paese con la scrittura. Il mio amico danese era dell'opinione che qualunque fosse la condizione economica, politica o di asilo di un romanziere - che abbia i documenti o non li abbia - uno scrittore non è mai un rifugiato. Ne discutemmo giungendo alla conclus10ne che un rifugiato è una persona che ha perso l'abilità di esprimere a pieno la sua natura, e che corre da un paese all'altro per riuscire ad articolare l'essenza del proprio essere, la sua natura umana. Forse l'anno in cui sono nato ha avuto una certa influenza sulla questione dell'identità somala e quindi della nazionalità - mi riferisco alla questione della posizione futura della Somalia nel mondo. Sono nato nella città meridionale di Baidoa, che per qualche anno è rimasta nelle mani degli italiani, anche se tutta la zona meridionale della penisola di lingua somala sarebbe andata ai vincitori della grande guerra, gli inglesi, il cui esercito aveva sconfitto gli italiani di Mussolini. Nel giro di pochi mesi, nella farsa del gioco im,t:>eriale,la bandiera della potenza coloniale vittoriosa avrebbe rimpiazzato quella dei vinti. Ogni volta che le potenze europee erano assenti dalla scena, comparivano gli etiopi, armati da capo a piedi, a chiedere tasse e a progettare un proprio impero straccione di soldati affamati, vestiti di uniformi mangiate dalle tarme, pronti al saccheggio. Troppe bandiere: l'identità somala venne espressa da un doppio nome via via che la nazione cadeva nelle mani di un nuovo conquistatore - Somalia inglese, Somalia italiana, Somalia francese, Somalia etiopica. Negli anni Sessanta ci fu infine la Somalia keniota. Due anni dopo la mia nascita, mio padre partì per l'Ogaden, dove aveva trovato un lavoro di interprete per l'amministrazione inglese della regione di lingua somala, e la mia famiglia rimase in quella regione anche dopo che gli inglesi se ne furono andati. Ho S,t:Jessoparagonato lo statuto della mia nazionalità e la mia identità culturale e politica a 9uella di un triestino diventato membro dell'impero ottomano, e poi dell'impero austro-ungarico e infine iugoslavo o italiana a seconda di chi aveva invaso la città; oppure al curdo che si è trovato a fare i conti con la scom,t:>arsadel proprio nome e quindi con la propna identità curda. E che dire degli arabo-palestiensi, che ho conosciuto da ragazzo quando in gran numero cercarono rifugio nella città fluviale dell'Ogadcn in cui vivevo? La gente di Kallafo fece persino una raccolta di fondi per quei diseredati. Ero allora forse troppo giovane per capire la complessa storia della diaspora palestinese anche se riuscivo a percepire qualcosa e a simpatizzare con la loro enorme tragedia; in quanto somalo potevo identificarmi con la loro perdita di orgoglio e di identità. Fu forse allora che cominciai a pensare che la patria moriva dentro una persona molto prima che lui o lei venissero ufficialmente dichiarati rifugiati. Arrivai a capire che i soggetti coloniali in un certo senso muoiono quando perdono il diritto di definirsi in relazione al luogo in cui sono nati, poiché viene loro chiesto di rispondere a varie identità imposte da altri: quando vengono costretti a vedersi come l'invenzione di qualcun altro. Siamo tutti testimoni degli eventi che si stanno svolgendo nella regione, della tragica guerra civile, della violenza assassina. Anzi, abbiamo anche visto la tipica reazione neo-coloniale alle complessità della questione nazionale, quando il governo keniota ha creato dei rifugiati al di qua e al di là dei suoi confini, con una politica ispirata a una cruda forma di razzismo basata sull'etnicità. C'è un'abilità perversa in queste identità inventate, dei cui malefici effetti spesso nessuno si accorge per un lungo periodo. Solo quando le cose vanno per traverso la gente se ne accorge: sia che si tratti del Medio Oriente o dell'ex-Iugoslavia, del subcontinente indiano o della penisola somala. Ogni volta e in ogni luogo in cui si creano nuovi imperi al posto dei vecchi, c'è un gentile numero di essen umani che diventano rifugiati. I curdi, i somali, i cambogiani, i vietnamiti, i tamil e i palestinesi hanno in comune questa condizione: le loro genti sono state coartate, costrette entro imperi e poi cacciate via, e di nuovo ricomposte, ogni volta che un impero si disintegrava. Nel disegnare gli arbitrari confini imperiali, i costruttori di imperi creano una rete di tensioni politiche cd economiche capaci di esplodere sia all'interno che all'esterno. Non è necessario che io rammenti a nessuno come, nel Corno d'Africa, la natura implosiva della crisi abbia contribuito a generare tensioni tra le varie nazionalità della regione; e come la tendenza esplosiva ogni tanto abbia prevalso generando una guerra micidiale tra i paesi. La guerra tra Somalia cd Etiopia ha coinvolto almeno due milioni e mezzo di persone per questioni di confini; un numero ancora maggiore è andato a ingrossare le fila dei senza luogo sia all'interno dei due paesi che fuori delle loro

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