La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 9 - novembre 1995

lano con crescente legittimazione, pregiudizi, normative di esclusione, "gerarchie" etniche. Passo dopo passo si forma un'opinione pubblica che "è d'accordo, o almeno non interferisce con le misure amministrative, con l'azione dello stato" (rispetto alla società italiana ormai segnata da segregazione e dualismi, o rispetto all'Europa Fortezza). Forse perché presi dal vivere di ogni giorno, forse perché nessuno oggi sa più come, non stiamo trovando né parole né atti efficaci - di questo si tratta - nella nostra società degli anni del razzismo. Gli anni del "razzismo", gli anni della "riflessività" Gli anni del "razzismo" sono però anche la fase della modernità che - ci dicono osservatori autorevoli - è caratterizzata da un crescente potenziale, in noi attori sociali, di riflessività sociale e d~,_processi di mobilitazione rifLessiva. Introduco questa chiave di lettura, pur dovendo limitarmi a lasciarla sullo sfondo. Riflessività - per ciò che qui soprattutto interessa osservare - è avere piena consapevolezza dei processi della società razzista; e le circostanze specifiche della modernità che vanno messe in luce sono le condizioni, oggettive e soggettive, che c1 collocano riflessivamente in questo contesto, appunto la società moderna. Riflessività è un insieme inedito di tratti e comportamenti, che si traducono in un tessuto di istituzioni esse stesse riflessive e in una cultura: per esempio avere occhi aperti sull'insieme dei fenomeni attorno a noi; educarci al passaggio dalle certezze della società tradizionale alle innumerevoli opzioni e alternative della società de-tradizionalizzata; saperci collocare nel nostro vivere concreto, nella quotidianità, sia rispetto al passato sia guardando al futuro; non essere disorientati dai processi di rottura e di permanente cambiamento propri del nostro tempo, ma mventare, improvvisare. Nelle letture sulla modernità riflessiva non troviamo rassicurazioni banali. Per esempio Beck osserva che ci si richiede di "elaborare posizioni non semplici, non chiare, che corrispondono al nostro radicamento multiplo ... spesso contraddittorio ... ciascuno di noi è in una condizione di migrazione verso nuove nicchie di attività e identità, e queste spesso appaiono non chiare e prive di coerenza ... per un aspetto siamo dalla parte della rivoluzione mentre per un al_troappoggiamo posizi<?~i reaz1onane, da una parte c1 1mpegnamo mentre dall'altra ci tiriamo fuori ... ciascuno e ciascuna di noi pensa e agisce allo stesso tempo come persona di destra e di smistra, si trova su posizioni conservatrici e radicali, fa scelte democratiche o invece non democratiche, si colloca "ecologicamente" o invece no, opera in termini politici o invece apolitici. Siamo - volta a volta - pessimisti, passivi, o viceversa attivi, idealisti". (Beck, 1994) Come attori riflessivi della modernità abbiamo però capacità (skills, ma anche risorse e regole a cui fare ricorso) appropriate ai problemi del nostro tempo. Soprattutto - attra ve_rso verjf~ch_e, aggiustamenti, tentativi - 1mpanamo. Mary Catherine Bateson insiste su pratiche di improvvisazione e di nuovo apprendimento, pratiche che "non sono processi privati, ma collettivi": "La qualità dell'improvvisare caratterizza sempre più le nostre vite, vissute nell'incertezza, piene di indizi di possibili alternative ... da incontri con cambiamenti che . . . . possono appanrc1 incomprensibili e ingovernabili, elaboriamo strategie di adattamento ... queste però a volte richiedono di abbandonare principi che sempre avevamo considerato fondamentali, di accontentarci di riferimenti fragili, o di comportarci secondo regole di cui non siamo del tutto sicuri ... impariamo a conoscere l'esperienza di procedere senza punti di riferimento, di avere solo risposte parziali e provvisorie ..."(Bateson, 1995, pp. 8, 9) Consapevoli di dover "convivere" con i processi (di lunga durata) del razzismo e del degrado, essere riflessivi significa attrezzarci rispetto a questo difficile passaggio: e dunque, organizzare il passato in relaz10ne al presente, quotidianamente praticare le esperienze e le qualità _personali che questa modernità insieme permette e richiede, ma anche allontanarci da punti fermi che ci hanno orientato in passato ma che, nelle nuove condizioni, "rischiano di renderci miopi, o troppo rigidi" (Bateson). Il lavoro della memoria Ecco allora un elemento, suggerito da alcune esperienze "incontrate" nel corso di quest'anno: per vivere riflessivamente, fondamentale è praticare il lavoro della memoria . Al Museo della tolleranza di San Francisco i visitatori, al1' entrata, ricevono ciascuno un foglio, con la fotografia e il nome di un bambino o una bambina ebrei degli anni della persecuzione. Via via che procedi nel museo, si aggiungono notizie sul loro destino. Alla fine, rintracciata dal computer negli archivi, ti resta una breve storia, una fotografia, uno scorcio di vita (quasi sempre, è successo a un milione e mezzo di bambini, spezzata nello sterminio). Te ne vai con qualcosa che è di più delle informazioni e del ricordo: il foglio lo porti con te, lo ritrovi, non sai bene dove metterlo, ti lavora dentro. Di un lavoro della memoria collettivo, di un consapevole, coraggioso percorso generazionale per opporsi all'oblio come scelta di una generazione, di un'intera società parla Renate Siebert. Dice di coloro che "nati in Germania durante gli anni della guerra, giovani universitari negli anni attorno al '68", si sono messi alla ricerca di "una dimensione del presente capace di nutrirsi di uno sguardo meno sperso e disperato sul passato": "La mia generazione ... ha lottato contro la smemoratezza, contro quel silenzio che uccideva tutte le vittime del nazismo per la seconda volta. Ci siamo ribellati contro l'ipocrisia degli adulti, contro la loro non-assunzione di r~sponsabilità_... Lavoravamo insieme per capire cosa era successo ... Credo che questi aspett'i siano fondamentali per comprendere il '68 in Germania: fu in buona parte una elaborazione della memoria del totalitarismo fascista. Il '68 ha dato alla nostra generazione di orfani una dimensione del presente capace di nutrirsi di uno sguardo meno sperso e disperato sul passato ... (Siebert, 1995)" Uno straordinario documentario curato da uno psicologo israeliano per la BBC, Children of the Holocaust (e un suo libro) riportano un lavoro in profondità sui processi del ricordare, ma soprattutto del silenzio e della rimozione. Promuovere l'incontro tra persone, alcune cresciute in famiglie di sopravvissuti allo sterminio, altre in famiglie di alti ufficiali delle SS, medici nei programmi di eutanasia, personale nei campi di sterminio, significa tentare una mai avvenuta elaborazione e comunicazione su drammi personali (così laceranti che non si vuole o non si può rievocarli, o lo si ·fa a

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