La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 5/6 - lug.-ago. 1995

Guerra e memoria Predrag Matvejevic (traduzione di Egi Vòlterrani) Predrag Matvejevic, è autore di Mediterraneo e Lettere dall'altra Europa, editi da Garzanti. Insegna attualmente alla "Sapienza" a Roma. • Saranno verosimilmente dei tribunali internazionali a giudicare i criminali della guerra di Ju_goslavia,ormai ex Jugoslavia. E difficile immaginare che gli stati che si sono formati in quelle regioni consegnino ! colpevo!i, Sare~be necessario rovesciare pnma coloro che oggi detengono il potere. E questo non capiterà spontaneamente. Popoli e individui, per quanto separati, ne subiranno tutti insieme le conseguenze. · .Non è possibile valutare alla stessa stregua ogni fase di quella guerra e neppure coloro c~e_vihanno preso _parte.~ll'i~ mz10, quando Milosev1c e 1 suoi fanatici partigiani hanno attaccato la Slovenia e la Cro~- zia, si trattava di un conflitto tra nazioni, o Stati, che avevano concezioni diverse della Jugoslavia o della sua costituzione: federalismo, autonomia, secessione. L'aggressione della Bosnia da parte di Serbi e Montenegrini, come poi quella dell'Erzegovina da parte dei Croati, ha assunto caratteristiche di suerra civile e etnica. Nel territorio segnato dallo scisma cristiano, dove si sono confrontati Bizantini e Latini, ortodossi e cattolici, e poi il cristianesimo con l'islam, le contrapposizioni religiose hanno riacceso odi latenti: si tratta, in qualche caso, di una guerra · di religione che si vorreboe dissimulare. Regolamenti di conti, nazionali, etnici, civili, religiosi e d'altro genere, avevano già insanguinato quei paesi durante la·Seconda guerra mondiale, e hanno lasciato tracce nella memoria. La guerra di oggi è buona parte il proseguimento di qu_elledi all'?ra; Ceti:u~ie U:stascia sono nappars1 m pnmo piano sulla scena, con le loro ideologie fanatiche e le loro pratiche di morte, la storia e la vita in comune non hanno cancellato i ricordi dolorosi. Nell'ex Jugoslavia, anche la guerra fredda, per certi aspetti piuttosto particolari, continua in modi meno evidenti che in altre regioni dell'Europa dell'Est. Un numero rilevante di ex-comunisti, anche in un paese dove erano nel loro insieme considerati "revisionisti", diventano nazionalisti, come del resto capita altrove. Il loro modo di pensare, chiuso su se stesso, e il loro asservimento guasi religioso ai loro scherru di riferimento li portano a quel comportamento. Un ex-stalinista diventa facilmente neo-fascista. Anche il carattere dei belligeranti è via• via cambiato. Al momento dell'intervento, relativamente anodino; contro la Slovenia, in seno all'Esercito Popolare Jugoslavo c'erano ufficiali e soldati sin~ ceramente convinti di difendere la Jugoslavia nelle sue frontiere, e insieme a loro c'erano invece quelli che non cercavano altro che la conservazione dei loro privilegi di casta, favorita dal regime precedente, A mano a mano che la suerra_ si estend_e"'.a,i mil\- tan croati e sloveni s1sono visti esclusi da quell'esercito. In Bosnia-Erzegovina, ovviamente, non c'erano più Bosniaci e musulmani e neppure Albanesi, Ungheresi o rappresentanti di altre minoranze nazionali. Vista la frenesia che animava sempre di più gli aggressori, quegli ufficiali serbi e montenegrini che non. condividevano le macabre fantasie dei loro capi sono stati, anch'essi, allontanati. Alcuni di loro si sono suicidati. In questo modo la composizione dell'esercito è stata modificata. In esso si sono infiltrate unità "paramilitari", reclutate senza alcun controllo, mercenari e criminali comuni. La soldataglia che. infierisce in Bosnia ha inalberato, con orgoglio e arroganza, gli emblemi di un nazionalismo estre~ mista. Dopo tutte quelle epurazioni non si poteva più pretendere che l'Esercito Popolare Jugoslavo fosse sempre lo stesso, quello nato con la Resistenza, che contava nei suoi ranghi, in partenza, membri di tutte le nazionalità e minoranze nazionali. I mezzi di comunicazione, per quanto attentamente predisposti a racçogliere con precisione le informazioni, riescono difficilmente a circoscrivere o a delimitare l'avvenimento della guerra in tutte le sue dimensioni. Di qui nasce l'ambiguità del di corso sull'ex Jugoslavia sia all'estero che all'interno del paese stesso. Su questo punto Clausewitz ci ha messi in guardia in un modo che non ha ancora perso niente della sua attualità: "Un evento, che non sia ricostruito con cura in ogni sua parte, è come un oggetto visto da troppo lontano: si presenta nello ·stesso modo da tutti i punti di vista, e _non se ne possono distinguere le parti nella loro disposizione ... E difficile ricostruire e rievocare g\i eventi storici in modo da poterli usare come prove. È facile perdere di vista questa difficoltà quando si tenta di definire la vera natura degli avvenimenti Jugoslavi e più in particolare di quelli che si verificano in Bosnia-Erzegovina, la propaganda nel paese, diffusa con gergo burocratico che potrebbe essere tanto comunista quanto nazionalista, "utilizza come prove" eventi strumentalmente e consapevolmente mal "ricostruiti". Un linguaggio ambivalente, quello di cui si valgono numerosi osservatoti stranieri, confonde asgressori e aggrediti, as edianti e assediati, così come confonde sanzione con intervento, trattative con dialogo. Non è più necessario ripetere cose già ben note, e cioè chi ha commesso il maggior numero di crimini, aperto i primi campi di concentramento o praticato "l'epurazione etnica". Resta certo che è stata la Bosnia-Erzegovina a soffrire di più. Ha versato più sangue di qualsiasi altro popolo nella storia degli Slavi del Sud: ancora di più dei Croati in quest'ultimo onflitto, più dei Serbi nella Seconda guerra mondiale. Una propaganda tendenziosa e ma'ssiccia, soprattutto d'ini-

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