La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 5/6 - lug.-ago. 1995

LA VIOLENZA E LA GIUSTIZIA Gian Cristoforo Turri Gian Cristoforo Turri, è procuratore della Repubblicapresso il Tribunale dei Minorenni di Trento. • Un padre percuote duramente il figlio, perché non è rientrato all'orario stabilito. . Una madre chiude a chiave la figlia per non farla uscire. Un poliziotto prende a sberle uno zingarello sorpreso à rubare. Un giudice condanna alla pena della reclusione in carcere un giovane che ha spacciato droga. All'uscita dalla discoteca dei ragazzi si prendono a botte. Un ragazzo di 14 anni fa l'amore con una ragazzina di 13 (violenza carnale, secondo il codice penale). Un consulente esicologo non interroga una bambina intorno a1 ricordi e ai sentimenti che prova per una donna che in passato l'ha tenuta con sé, "perché sarebbe una violenza" (mi è capitato in un processo in cui si doveva decidere se una bambina dovesse essere adottata o se fosse preferibile che ritornasse a vivere con quella donna). Il filo che collega queste vicende, più o meno consuete, è la violenza. Anche l'ultima, perché quel consulente avvertiva violenza in quell'indagine. · [ ::a ~ ,"-.~- ' . . I ~ ! BUONIE CATTIVI Ma tutto ciò è violenza? Ed è violenza allo stesso modo? Mi rendo conto di porre un interrogativo che può sconcertare. È una operazione sempre più diffusa quella di ampliare il riconoscimento della violenza e di ricondurvi azioni che, un tempo, non passavano per violente e che, ancora oggi probabilmente, la comune coscienza non avverte come tali. Chi ha seguito negli anni più recenti l'evolvere della cultura dell'infanzia e dell'adolescenza dovrebbe aver percepito che la maggior parte dei discorsi sull'educazione, non appena oltrepassano la soglia della scuola e della didattica, è dedicata al fenomeno della violenza ai minori. La sensibilità non solo sociale, ma anche psicologica, accademica e giudiziaria alle problematiche del mondo giovanile non si è attivata, se non in relazione ai "maltrattamenti", identificati peraltro con la violenza tout court. A ciò si è pervenuti attraverso un percorso che fu giusto e sacrosanto intraprendere per riscuotere la società da un troppo lungo e profondo "sonno" riguardo ai bisogni dei minori in generale. Sennonché, dopo aver concentrato l'attenzione e la reazione sulle pratiche di abuso fisico e sessuale, si è passati a delineare il concetto di abuso o maltrattamento psicologico, a sua volta identificato con la violenza. L'area della violenza si è venuta a estendere sino a coincidere quasi totalmente con quella della "pedagogia nera" e che coincide, a s·ua volta, con tutto ciò che è pedagogicamente scorretto. Ma è utile parlare di violenza ogni volta che si accerta un rapportarsi inadeguato dell'adulto al bambino, un'incomprensione, un'indelicatezza, un'incuria? Non è che così si riduce la significatività o addirittura si banalizza il contenuto forte e ad alto potenziale reattivo che il riconoscimento della violenza implica? La violenza fa o dovrebbe fare scandalo. È lo scandalo che si intende produrre con queste operazioni? E quali reazioni provoca lo scandalo? I miei dubbi sulla correttezza e l'efficacia di tali operazioni derivano dalla risposta che do a quest'ultima domanda e, almeno in parte, dalla mia esperienza professionale (sono giudice minorile).

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