La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 4 - giugno 1995

AGONIA DI UN IMPERO Christopher Lasch (traduzione di FrancescoEsposito) Christopher Lasch, recentemente scomparso, è stato uno dei più grandi sociologi e critici della cultura contemporanei. Questo testo è la trascrizione del suo intervento al seminario su "razza e razzismo". Tra le sue opere ricordiamo, L'età del narcisismo, Bom-. piani, 1982 e Un paradiso in terra, Feltrinelli, 1993. Sempre Feltrinelli pubblicherà a novembre il suo ultimo libro: La rivolta delleélites. ♦ Sono sempre più consapevole del mio disagio. Semplicemente, le questioni davvero importanti esulano dalla mia competenza professionale. Non lo dico per falsa modestia. È un dato di fatto. Ma forse lo stesso vale per molti dei presenti, anche se ciò non ha impedito a nessuno di prendere parte a questa discussione. Non lo ha impedito neppure a me. La carenza di lavori dignitosi, il declino dell'istruzione pubblica, il crollo della vita di famiglia, la diffusione epidemica di droga e criminalità, il deterioramento delle periferie urbane, gli effetti paralizzanti del cinismo e della disperazione - molti dei materiali che sono stati distribuiti per preparare la nostra discussione parlano abbastanza esplicitamente di questi problemi. Qui il punto reale - a mio modo di vedere - riguarda la rispettiva importanza relativa delle pratiche di self-help e dei programmi di intervento sociale. Alcuni sottolineano la demoralizzazione della sotto-classe, in particolare della sottoclasse nera, quel terribile senso di disperazione che nessuno sembra sapere come affrontare. Altri invece sembrano conservare la fiducia che la questione si possa in qualche modo risolvere affidandosi a programmi sociali più ampi e più accuratamente amministrati a livello federale. In entrambe le posizioni c'è qualcosa di vero. Chi sostiene la necessità di qualche forma di intervento federale, parte dall'ipotesi che povertà e disoccupazione derivino in ultima analisi da una scarsità di lavori remunerativi, e dalla constatazione che i cambiamenti strutturali dell'economia americana abbiano reso sempre più difficile la creazione di posti di lavoro da parte del sistema delle imprese: su questo sfondo, l'azione governativa diventa indispensabile. Ma anche chi sostiene la necessità del self-help, del "fare da sé", da parte della comunità nera ha le sue buone ragioni. Non vedo proprio come si possa negare che i neri - cito Stanley Crouch - debbano "smettere di drogarsi, prendersi cura . dei loro figli, farla finita di disinteressarsi della scuola e cercare di risolvere i loro problemi invece di lamentarsi e di s'ubire clamorosamente, passivamente, la loro condizione". La conclusione è ovvia: per rivitalizzare delle comunità che si stanno disintegrando abbiano bisogno sia di buoni programmi di intervento sociale sia di efficaci forme di selfhelp. La cosa difficile (oltre alla dimensione ormai davvero macroscopica assunta dal problema) è capire come riuscire a combinare questi due approcci tanto diversi evitando che si annullino reciprocamente. Proprio perché questo problema così difficile non si presta agli atteggiamenti razziali o ai meccanismi dell'ideologia, i più preferiscono cambiare argomento. Così, normalmente, si tende a parlare di azioni positive o di educazione multiculturale o di altre faccende del genere. La grande maggioranza di questo paese è - credo - completamente insensibile e assolutamente lontana dalla crisi dell'America nera. Mentre le nostre città si auto-distruggono, gli accademici e gli educatori continuano tipicamente a interessarsi di temi che, se va bene, interessano soltanto altri accademici e altri educatori. Naturalmente, anche il nostro seminario ha preso questa direzione. Non voglio affatto sminuire le cose molto acute e intelligenti che ci siamo detti in questi due giorni, ma penso che chiunque sia interessato al problema senza provenire dall'interno del mondo accademico troverebbe che buona parte della nostra discussione è completamente fuori strada. Ieri parlavamo del movimento per i diritti civili. Mi è sembrato un buon .argomento, una linea di analisi piuttosto promettente. Naturalmente, come qualsiasi altro problema storico, è un tema complicato; però alla fine mi sembra di poter dire che il movimento per i diritti civili sia riuscito a crescere perché era radicato nelle classi medio-basse e nelle comunità di lavoratori nere. Si trattava per lo più di comunità del Sud, cresciute ali' ombra della segregazione ma organizzate e guidate in modo tale da raggiungere in quelle circostanze una notevole vitalità e una grande coesione. Quando il movimento cercò poi di attraversare le acque infide della politica urbana spostandosi a Nord, si scontrò con una serie di problemi molto diversi e, soprattutto, con delle comunità entrate già da parecchio tempo - da circa venticinque anni - in una fase di crisi e di decadenza. Quando giunse a Chicago, Martin Luther King non restò sbalordito soltanto dalla profonda resistenza e dall'ostilità dei bianchi ma anche dalla situazione di disperata rassegnazione in cui trovò la comunità del ghetto. King disse: "Eravamo abituati ad avere a che fare con persone che volevano essere libere". Per molti versi il movimento per i diritti civili ha rappresentato il culmine di quell'era di storia Americana che va dal 1945 al 1965 e che retrospettivamente oggi forse possiamo considerare il punto più alto di sicurezza e di prosperità mai raggiunto dal ·nostro paese. Il declino del movimento - e di tutte le altre cose di cui abbiamo parlato in questi giorni - si inseriscono in un contesto più ampio di disintegrazion~ politica, economica, sociale della_vita americana. La crisi del sistema politico si riflette in primo luogo nella diminuzione dell'importanza dei partiti e nella loro progressiva sostituzione, particolarmente per quanto riguarda la capacità di garantire l'educazione politica, da parte dei media. La crisi si avverte anche nella situazione di stallo instauratasi tra Presidente e Congresso, stallo che la nostra poli~ica ha orPIANETA TERRA

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