La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 4 - giugno 1995

ONTHEROAD LA DITTATURA DELL'AUTOMOBILE Goffredo Fofi Guido Viale Alfonso Sanz Alduan Wolfgang Sachs Antonio Estevan PAZZI AL VOLANTE Goffredo Fofi Ringraziamo calorosamente la rivista di Barcellona "Archipielago" che ha dedicato il numero speciale 18-19 a "Trenes, tranvias, bicicletas. Volver a andar", da cui abbiamo tratto i testi di Alfonso Sanz Alduan e Antonio Estevan, ecologisti spagnoli, e collaboratori del Centro de investigaciones por la Paz di Madrid, e altri che compariranno nei prossimi numeri di "La Terra vista dalla Luna". Gli altri autori i cui testi compaiono nella prima parte di questo dossier sono Guido Viale, che sta preparando un ampio studio sull'automobile dopo quello bellissimo sui rifiuti pubblicato di recente da Feltrinelli ( Un mondo uso e getta) e Wolfgang Sachs, studioso di ecologia e insegnante presso l\miversità di Wuppertal, collaboratore del "Manifesto" e di "Linea d'ombra", autore tra l'altro di un saggio sull'automobile e di Archeologia dello sviluppo (campagna Nord/Sud 1989). Nel prossimo numero pubblicheremo altre riflessioni e inchieste sul tema, di Agustin Gar"ciaCalvo, Carlo Andriolo e Carlo Giacomini, e di Antonella Nappi sull'inquinamento atmosferico. · ♦ Quella dell'auto è, almeno in Italia, una questione tabù. Riservata a pochi attenti studiosi, ecologi o economisti dotati di morale, è rimasta del tutto estranea alle "tradizioni del movimen'to operaio", che. hanno subordinato ogni cosa al problema dell'occupazione e del posto di lavoro (è il caso di ricordare che c'è stato solo un caso di obiezione di coscienza, negli anni Settanta in Lombardia, da parte di un operaio in una fabbrica di armi? nell'indifferenza e anzi nell'ostilità dei suoi colleghi e del sindacato), ed estranea perfino al movimento ambientalista, disposto a patteggiare anche sulle basi stesse della sua ragion d'essere, della sua identità. Le ragioni del benessere vengono innanzi a tutte le altre, anche a costi mortali: il cancro ambientale, che miete ogni anno migliaia di morti, e gli incidenti che quotidianamente sporcano di sangue le nostre strade, le nostre superstrade, le nostre autostrade. Non si è mai pensato seriamente a modelli di sviluppo diversi, non si è mai ragionato sui costi dell'automobile o quantomeno sulla possibilità di limitarli, e nessuno ha mai difeso seriamente, contro lo strapotere dell'auto, un modo meno distruttivo di muoversi: il treno tra un città e l'altra, un pa,esee l'altro; il tràm, o il filobus, in città. In tutto questo è ravvisabile una complicità collettiva: de.strae sinistra, ricchi e poveri eh.esperano di diventare più ricchi, preti e intellettuali, maschi efemmine, settentrionali e meridionali;per una volta tutti d'accordo, gli italiani, perfino più massicciamente,più unanimemente che sulla televisione. E in questo modo, oltre ai costi in salute e a un immane contributo a quella disumanizzazione dei rapporti, a quell'omologazione delle esperienze eperfino di certi istint~ alla mutazione della nostrapercezione della realtà, eccomutato anche il paesaggio del nostro paese, sconciatadall'eccessodi macchine come dall'edificazione selvaggia che ne è per buona parte dipesa. Grazie all'automobile l'Italia è diventata brutta, malsana, e non si direbbe di certopiù intelligente. Non era davvero possibile fare altrimenti? Colpa di tutti, o colpa di nessuno, come recita il titolo di un bel romanzo recente. Ma anche più colpa di alcuni che di altri: degli industriali dell'automobile, e dei politici, pianificatori, giornalisti, intellettuali al loro servizio; pii(, colpa, per esser chiari fino in fondo, della Fiat e della /ami- . glia Agnelli che di qualsiasi altra società e di qualsiasi altro singolo o gruppo di persone. Quella famiglia Agnelli che continua a essere così riverita e rispettata da tutti o quasi tutti, in taluni periodi idolatrata e portata a modello, e a offrire al paese dirigenti economici e politici, perfino ministri (ah, l'ineffabile ministro degli esteri, così generosamente dedita alla causa della pace nel mondo, e così innocente d'ogni responsabilità nell'economia che regge le sorti - e le guerre - del mondo) e che continua generosamente a possedere giornali e case editrici, a stimolare e condizionare in modi, palesi e non, la formazione di governi e gruppi di potere che tuttavia obbediscano alla sola regola del consenso sui valori di fondo di un modello socio-economico-antropologico comune, di un auto (o Fiat) way of !ife che si congiunge a un modello occidentale (e tramite il potere dell'occidente, mondiale) alla cui formazione la Fiat ha dato un valido contributo, e l'adeguamento a questo modello dei più vasti e più qttivi epiù aggressivi gruppi intellettuali. E davvero eccessivo chiamare, come si usava al tempo di Marx,. "servi (o lacchè, o magari anche maggiordomi nel caso di personaggi di maggior mole) di Agnelli", quegfi intellettuali, e con più-determinazione quei giornalisti e direttori di giornali efunzionari della cultura e dell'informa~ zione che nella corte di re Agnelli si muovono con l'agio o le astuzie dei cortigiani di sempre? E considerare anche con qualche diffidenza quei riformatori, quei "liberals" che tutto dichiarano di ONTHEROAD

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