La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 2 - marzo 1995

Bi diverse ma che a partire dalla propria specificità sappiano intrecciare le proprie esperienze e costruire concretezze trasformative, attorno a degli orizzonti comuni. Un'idea molto semplice e paradossale: "aprire il carcere" è una contraddizione in termini. In realtà prima di essere una ''finalità", una meta perseguita, è un'esigenza, un bisogno quotidiano, una possibilità di esperienza umana, un'occasione di trasformazioni possibili e anche una sfida all'esistente. Purtroppo la realtà è totalmente diversa. Il carcere è visto come qualcosa da ignorare, luogo di segregazione che non deve avere contatti con il resto della città. Il problema della vivibilità, dei diritti fondamentali, della situazione sanitaria, passa in secondo piano, anzi è cancellato di fronte all'urgenza della segregazione. Chi sta fuori non deve occuparsi di questi problemi; riguardano solo dei "criminali" (salvo accorgersi e lamentarsi quando, come l'anno scorso, molti politici o imprenditori vi devono passare, per "crimini" commessi, qualche giorno, settimana o mese). Quest'anno come attività culturale della "Corsia dei Servi" stiamo approfondendo il tema: "La città e lo straniero". Un lavoro che è fatto soprattutto di contatti con gruppi che in Milano si occupano delle realtà più abbandonate e invisibili: dagli anziani agli immigratt dai tossicodipendenti ai colpiti di Aids, ecc... E un osservatorio sulla trasformazione della città attraverso la gente che la città cerca di ghettizzare ed escludere. I gruppi che si occupano di queste situazioni sono forse più di quanti ne prevedevamo, ma sono evidentemente insufficienti e soprattùtto non aiutati dalle istituzioni pubbliche. A Milano, S. Vittore rappresenta il simbolo vivente di questa situazione. Casa perimetrata, difesa delle guardie, in cui entrare non è facile, con situazioni che rappresentano tutti i nodi cruciali che la città vuol far scomparire. La maggioranza dei detenuti sono tossicodipendenti, malati di Aids. I più gravi problemi della città qui sono presenti e qui, come in città, invece che la partecipazione al dolore e alla sofferenza di queste persone, si cerca il loro controllo e ghettizzazione. Siamo tutti convinti cheper vivere abbiamo bisogno di rapporto con l'altro, di confronto, qui invece avviene l'opposto: chi vuol vivere allontana da sé, separa il diverso. La stessa tendenza attuale, comprensibile da diversi punti di vista, di allontanare le carceri dalle città - come gli ospedali - è un altro indice di questa tendenza a•rifiutare il diverso, il deviante, la malattia. Chi pone problemi legati alla sua diversità, deve uscire dalla città. È la dimensione dell"' estraneo" che si vuol cancellare, segno della nostra incapacità di vivere, confrontarsi, accogliere il diverso. Sono problemi r1:_ostri, che tuttavia abbiamo deciso di ignorare. E per questo che continuiam'o, aiutati dalla direzione del carcere, a frequentare S. Vittore. Per questo motivo partecipiamo anche a un progetto voluto dal direttore di S. Vittore - il progetto "Ecotonos" avviato per ora in tre raggi - che ha lo scopo, attraverso incontri, attività varie in piccoli gruppi, di far conoscere la città per esserne più partecipi. Un 'iniziativa meritoria affidata a educatori interni, a cui diamo tutta la nostra collaborazione perché ci sembra in linea con gli obiettivi sopra descritti. Operare come volontari in un carcere ci sembra così un modo per vivere nella Milano oBianco BUONI E CATTIVI d'oggi, per non chiudere gli occhi su chi ci sta accanto, per dare voce a chi non l'ha più o non è ascoltato. Siamo coscienti che la questione più prof onda è ben lungi dall'essere risolta. Essa riguarda l'attività di volontari che non vogliono ridursi a riempire buchi senza fondo ma dare alla loro attività un carattere tale che faccia suscitare dall'interno del luogo in cui si opera energie che sappiano trascinare altri ad impegnarsi affinché la trasformazione avvenga dall'interno dell'istituzione. L'interrogativo che ci poniar,;_ocontinuamente riguarda proprio l'efficacia della nostra azione in questa direzione. Non è qualcosa che si può misurare, ma neppure ignorare. I confini fra assistenza e assistenzialismo sono sempre labili, ma vi è anche lo sforzo e il dovere di trasformare l'assistenza in diritto. Vi è una trasformazione costante _daoperare, perché ciò che tocca solo qualcuno diventi diritto di tutti. Un problema di non facile soluzione, soprattutto in questi anni in cui, salvo casi vistosi, il carcere non fa più notizia. Le notizie riguardano o alcuni casi in cui i diritti fondamentali di ogni cittadino sono negati o la presenza di artisti assai noti chef anno spettacoli in carcere. E qui c'è un problema da porre a questi artisti, sempre benvenuti dai detenuti perché rappresentano una parentesi gradita nello squallore della galera. Cercare un modo attraverso cui la loro presenza diventi un fatto più incisivo nella vita del carcere; chiedere loro come a tanti altri che per motivi di lavoro passano ore in carcere, di non limitarsi alla presenza per qualche ora, ma allargare il loro impegno per rendere meno inumano quel luogo. Altrimenti si ricade nell'assistenzialismo tanto deprecato da tutti. Passata la festa ..., tutto resta come prima. Il sovraffollamento non diminuisce, 1a situazione dei tossicodipendenti o degli extra-comunitari che ormai sono la maggioranza non muta di una virgola. Non si può passare in carcere e dimenticare ciò, se lo scopo della propria presenza è quello di "aiutare" i detenuti. Bisogna tessere fili, collegamenti, far nascere energie e lavorare insieme, al di qua e al di là delle mura. Una presenza occasionale,senza operarepoi, in qualsiasi modo e secondo le proprie possibilità, per mutare l'inferno che si è visto, rischia di essere solo frustrante e creatrice di attese che non saranno mai realizzate. Qui vi è anche una responsabilità assai grave dei giornalisti. Dopo la notizia si stende il silenzio più totale; la città-carcere ridiventa invisibile. Di nuovo subentra la logica della perirnetrazione e ghettizzazione del carcere; riflesso dello stesso processo che riguarda la metropoli, in cui tutta una serie di situazioni umane vengono isolate, emarginate, rese invisibili. È questa una realtà che tocca l'identità stessa della nostra convivenza e l'identità di ciascuno di noi. I Si tratta di un gruppopromosso dall'Associazione culturale "Corsiadei servi" e dalla libreriadz via Tadina di Milano. È statoavviato nel 1985 con i detenuti politici e continua ancora oggi con tutti i detenuti. Il gruppo interviene in tutti i raggie nella sezionefemminile per dare indicazioni sulla lettura facendo da tramite tra la bibliotecacentralee i diversi raggi. In questi ultimi anni, ancheper rendere più agevolee velocelapossibilitàdi accedereai libri, il gruppoha costituitodiversebibliotechinenei singoli raggi. ♦

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