La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 2 - marzo 1995

Da più parti si dice: questo all'insegnante non deve interessare, egli deve essere- solo "professionale", compiere cioè un lavoro che consiste nell'adeguare i curricoli ai bisogni di formazione, nel trasmettere contenuti culturali e competenze, nel fornire strumenti. lo ritengo, però, ma è una mia opinione personale, che se svolgendo il proprio compito formativo il docente finge con se stesso (per semplicità interpretativa o per propria sicurezza) che questa duplice scena non esista, fa un lavoro a metà: si limita a un intervento solo di superficie, che non avrà grandi possibilità di incidere sulla formazione della persona. La semplificazione, con la quale io identifico il restare chiuso entro il proprio operare strettamente professionale (nel senso che ho indicato prima), è una grande tentazione per il formatore, che ha bisogno di ancorarsi a sicurezze e a proprie tranquillità. Primo Levi scrisse nel 1986 : "questo desiderio di semplificazione è giustificato, la semplificazione non sempre lo è. È un'ipotesi di lavoro, utile in quanto sia riconosciuta come tale e non scambiata per la realtà; la maggior parte dei fenomeni storici e naturali non sono semplici, o non sono semplici della semplicità che piacerebbe a noi." Questo pensiero di Primo Levi dovrebbe costituire il riferimento teorico delle riflessioni e dell'atteggiamento del formatore che opera in un carcere, il quale ha il compito come parte costitutiva della propria professione, di interpretare gli accadimenti e di utilizzare come ipotesi interpretativa quella della complessità. Osservare e interpretare un fenomeno complesso leggendolo a diversi livelli: il livello della comunicazione tra docente e discente, il livello dell'elaborazione del discente, il livello delle relazioni interne al gruppo di classe, il livello delle relazioni tra il gruppo di classe e l'istituzione carceraria e, infine, il livello delle relazioni tra il singolo e l'ambiente carcerario. Come si vede il percorso d'apprendimento del formatore è notevolmente lungo e complicato. L'io che osserva Deve essere chiaro che quelli che ho chiamato livelli sono campi di esplorazione, non sono degli approdi; sono soggetti all'interpreBibliotecaGinoBianco tazione personale del formatore, che non può prescindere dalle sue filosofie di vita, dalla sua visione del mondo. Del resto il signor Palomar di Italo Calvino, nel racconto Il mondo guarda 'il mondo, di fronte all'impossibilità dell' osservazione oggettiva delle cose constatava: "Ma come si fa a guardare qualcosa lasciando da parte l'io?". Osservare secondo l'ipotesi della complessità è piuttosto una scoperta di problemi che non di soluzioni. Questo non vuol dire non capire più niente di ciò che sta succedendo, questo vuol dire al contrario cominciare a capire cosa sta succedendo, poiché proprio la complessità ci ha insegnato a diffidare delle spiegazioni uniche e lineari. Osservare per capire i significati può voler dire diventare incerti, uscire dalla tranquilla alleanza _con_ciò che è noto per avven~urarsi in un terntono nuovo. Se vogliamo che un osservatore non si limiti a "dissotterrare frammenti di discorsi già detti" , come diceva Foucault, e cioè a cadere nella routine delle osservazioni banali, bisogna dare ospitalità all'inatteso. Generalmente l' insegnante tende per propria consuetudine a perseguire l'obiettivo della sua lezione, evitando di dar peso agli "incidenti distrattori". La sua abilità consisterà nel non perdere il filo, ponendo al tempo stesso attenzione all'imprevisto, perché questo, che nel carcere é la costante, può rappresentare la chiave di lettura di un fenomeno. Compartimenti stagni · Il formatore nel carcere soffre spesso di solitudine nel rapporto col gruppo-classe: l'incertezza, che la complessità come criterio interpretativo sicuramente contribuisce ad alimentare, può essere superàta se c'è condivisione del lavoro con gli altri oreratori e se la visione e l'interpretazione de formatore hanno la possibilità di confrontarsi con quelle degli altri. Tr<;>ppo?pesso _nel carce:e _s~lavora per compartimenti stagm e non c1 s1 mcontra, se non di sfuggita, lungo i corridoi, mentre sarebbe importante incrementare le occasioni di confronto, soprattutto al fine di dare contri- ~uti a più _vociall'operazion~ obbligatoria del1 osservazione del detenuto m un contesto che tende a burocratizzarla. Questa è anche un'esigenza organizzativa, poiché spesso accade che dentro il carcere abbiano luogo molte iniziative che non sono affatto coordinate tra di loro, che insistono sugli stessi soggetti, escludendo gli altri. È giusto che queste attività possano muoversi in autonomia, cosa che però non contrasta con un programma coordinato. Infine il tema del cambiamento. La legge Gozzini agli artt. 30 ter sui "permessi premio" e 49 e 50 sulla "semilibertà" riconosce l'importanza fondamentale delle attività lavorative e istruttive fuori dal carcere, in quanto utili al reinserimento del detenuto nel contesto sociale, e dentro il carcere, come indici di una condotta regolare. Benché questo secondo aspetto abbia introdotto le mistificazioni comportamentali di alcuni detenuti cui accennavo prima, mi pare positivo che, nel fare appello alla partecipazione dei detenuti ad attività lavorative e culturali, la legge richieda qualcosa di più dell'osservanza passiva dei regolamenti interni. Essa compie inoltre direttamente un importante riconoscimento della funzione della BUONI E CAITIVI

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