La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 1 - febbraio 1995

AIDSECARCERE Luigi Pagano Direttore del carcere di S. Vittore La rapida diffusione dell'infezione da Hiv in ambito penitenziario, dovuta allo straordinario aumento degli ingressi di detenuti tossicodipendenti negli ultimi anni, avrebbe potuto determinare catastrofi inimmaginabili se l'amministrazione penitenziaria, una tantum, non si fosse mossa tempestivamente, già dalla prima metà degli anni Ottanta, per fronteggiare il fenomeno. Le linee direttive sulle quali si è avviato il suo intervento sono state sostanzialmente due: l'incentivazione delle risorse del servizio sanitario penitenziario e l'opera informativa a fine di prevenire i rischi di contagio tra detenuti e tra detenuti ed il personale. 1) La tutela della salute dei detenuti è sempre stato uno dei principali obiettivi principali dell'amministrazione penitenziaria c!Jein svariate circolari si è raccomandata affinché ogni detenuto potesse usufruire nel modo migliore della assistenza sanitaria offerta. Coerentemente, negli ultimi dieci anni in tutte le carceri è stato potenziato il servizio di guardia medica, nominati medici di ruolo, ampliate le branche specialistiche convenzionabili, riammodernate, nei centri diagnostici terapeutici, le strutture sanitarie obsolete. In un contesto del genere il controllo clinico dei detenuti sieropositivi non pone eccessive difficoltà tecniche; le stesse procedure di cura e controllo sono state standardizzate dalla Commissione Interdisciplinare sulfroblema Aids negli istituti penitenziari che ne 1990 ha elaborato un protocollo di accertamento della sieropositività e di sorveglianza clinica ed immunologica di pazienti con infezione da Hiv-1 in condizione di reclusione. In breve: al momento dell'ingresso in istituto il detenuto è sottoposto ad una visita medica che tende ad accertare possibili alterazioni patologiche e, se è espressoil consenso, a effettuare i prelievi per l'accertamento del virus Hiv. Non tutti i detenuti acconsentono, ma le stime sugli ammalati, pur in difetto, non dovrebbero discostarsi molto dai valori reali: a San Vittore la cifra ufficiale è di 140 sieropositivi, con uno scartopresunto di un 10%. Il protocollo di monitoraggio, la cui responsabilità d'attuazione è devoluta a specialisti in infettivologia (a San Vittore ne sono presenti due), prevede una serie di accertamenti clinicolavoristici e controlli periodici tendenti non solo ad avviare una linea terapeutica (in ambiente BibliotecaGinoBianco penitenziario sono somministrabili tutti i farmaci, compresa l'Azt, in uso all'esterno) atta a ritardare l'insorgenza della sindrome conclamata, ma anche a segnare all'autorità giudiziaria, legge 14/7/93 n. 222, importanti deficit dei Linfociti TI cd4+ che possono portare alla dichi11:razionedi jncompatibilità assoluta con il regime carcerario. Ribadisco che l'esecuzione di un tale protocollo non comporta difficoltà specifiche. I problemi sono altri: 1) C'è da chiedersi, infatti, quanto negativamente possa incidere la detenzione, e una detenzione in un istituto con un affollamento pari al triplo della capienza originaria (mi riferiscoper inciso a San Vittore i cui originari 800 posti sono occupati stabilmente da circa 2400 detenuti). Non parlo solo dell'impossibilità a mantenere accettabili condizioni di igiene, nonostante l'art. 5 della legge penitenziaria disponga che gli istituti penitenziari devono essere realizzati in modo da accogliere un numero non elevato di detenuti, quanto di come una situazione del genere, fortemente stressante, incida sulle residue difese di un organismo già attaccato dal virus. Si immagini che in una stanza di 1O metri quadrati devono trovare posto anche 6persone, ma con l'impossibilità materiale di poter, poi, collocare tutte le brande. Il rischio che si corre è la vanificazione delle pur ingenti risorsesanitarie impiegate, solo in S. Vittore il budget sanitario si aggira intorno a 7/8 miliardi annui, laddove la stessa struttura è patologica. 2) L'aspetto della prevenzione, evitare la propagazione del contagio, ha significato per l'amministrazione penitenziaria puntare decisamente su di una costante opera di informazione rivolta ai detenuti e agli stessi operatori sulle modalità di trasmissione del virus. Per tutto il personale della nostra amministrazione sono stati organizzati corsi di aggiornamento e riqualificazione in ossequio a quanto disposto dall'art. 36 della legge 162; tra le materie d'insegnamento anche informazioni sull'Aids , e sulle precauzioni da adottare sul posto di lavoro. Per i detenuti, oltre i livelli ufficiali (demandati al nostro personale e al Sert operante all'interno della Casa), si è riusciti ad attivare un progetto che li vede coinvolti allo stesso tavolo con operatori e rappresentanti di istituzioni pubbliche eprivate. L'iniziativa, definita Ekotonos ad indicare il rapporto di scambio che dovrebbe instaurarsi tra carcere e territorio, mira a promuovere l'integrazione con le risorse esterne, ma, principalmente, a dare un "senso" all'esperienza carceraria garantendo che il passaggio della persona nell'istituzione, anche se breve, aumenti i suoi poteri conoscitivi. L'idea di fondo è semplice: creare una circolarità di informazioni su tematicl5e specifiche e di interesse comune in modo da stabilire livelli uniformi di conoscenza, dall'aspetto sanitario, alle nozioni giuridiche, alle possibilità lavorative, ai rapporti con le comunità e gli altri presidi, ad una mappa dei servizi esistenti nelle città. Teoria, ma anche "istruzioni per l'uso" aspetti pratici di vita quotidiana trattati in diverse commissioni, con l'ausilio di magistrati, avvocati, sanitari, rappresentanti del privato sociale, e, poi, messi a disposizione di tutti in' organi- ♦

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