La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 1 - febbraio 1995

di una mano, diremo che ci sono quattro maschi per ogni femmina. Se vogliamo ipotizzare che tutti i rapporti sessuali di chi usa droga per via endovenosa avvengano solo ed esclusivamente tra tossicodipendenti, dovremmo anche ipotizzare che ciascuna donna tossicodipendente abbia, in un qualsiasi momento, una media di quattro partner sessuali stabili. Nessuna inchiesta tra tossic?dipendenti ha mai ra~colt? informazi?ni vieme a quanto appena ipotizzato; anzi, pare proprio che le tossicodipendenti tendano ad avere un solo partner sessuale "stabile" in ogni dato momento. Ne consegue che delle quattro dita che sulla nostra mano impersonano i quattro tossicodipendenti maschi una sola troverà il corpo gemello sulla stessa mano (cioè tra i tossicodipendenti stessi). Tre dovranno cercare altrove. Infatti, in inchieste svolte a Roma e in altre città italiane nell'ambito di studi internazionali sui comportamenti dei tossicodipendenti per via endovenosa promossi dall'Oms e dalla Comunità Europea, alla domanda "la tua partner sessuale [degli ultimi sei mesi] è anche lei tossicodipendente?" oltre il 60% degli intervistati ha risposto "no", come ci si doveva attendere dalle considerazioni appena svolte. Questo tipo di dinamica epidemica, questo semplicissimo "modello dell' epidemia", non è certo una novità: è valido almeno da dieci anni in Italia. Non si doveva essere eccezio n alme n te arguti per concludere che l'epidemia di infezioni da Hiv non sarebbe rimasta limitata a chi usa droga per via endovenosa, e che fuori dai tossicodipendenti sarebbero state le donne ad _es~eremaggiormente esposte al rischio di trasmissione. Ma prima di tornare alle evidenze rilevabili dai dati raccolti in Italia su Aids e infezioni da Hiv, cerchiamo di approfondire il discorso sulle grandi linee delle dinamiche dell'epidemia scorrendo i risultati di un modello epidemico alquanto più complesso di quello appena illustrato, che ha simulato il verificarsi dell' epidemia nel Lazio. Un modello matematico dell'epidemia Va premesso che parlare dei risultati di uno studio, e in particolare di uno studio basato su modelli matematici, senza esplicitare in dettaglio i metodi che hanno fornito quei risultati è un'operazione che rasenta la disonestà, e che potrebbe essere assimilata a quel tipo di pratica ormai pluriquotidiana che si manifesta in sondaggi-inchieste-ricerche dai metodi misteriosamente e misericordiosamente taciuti. Dirò perciò, a chi non sente come deterrente la complessità dell'argomento, che i metodi relativi ai risultati in questione sono stati pubblicati da Massimo Arcà e colleghi (dell'Osservatorio ,,,, BibliotecaGinoBianco Epidemiologico del Lazio) sulla rivista Statistics in Medicine nel 1992; agli altri dovrà bastare quanto segue. In breve, il modello si basa sulle conoscenze relative alla numerosità di diversi sottogruppi di popo~azio,?e (to~s~~o~~pe1:d~~tie no, maschi e femmme, condivison di sinnghe, persone che si prostituiscono, ecc.) e alle interazioni tra questi gruppi in termini di comportamenti a rischio di trasmissione di Hiv; sulle informazioni relative ai comportamenti sessuali dei tossicodipendenti e della cosiddetta "popolazione generale" (tipo e frequenza dei rapporti sessuali, uso del profilattico, ecc.); sulle conoscenza biologiche relative alla probabilità di trasmissione di Hiv e su quelle epidemiologiche relative alla distribuzione dei tempi di induzione intercorrenti tra infezione da Hiv e Aids. Ad un ipoteI tico "tempo zero", che nel Lazio (e in Italia in genere) si può con una certa sicurezza collocare intorno al 1980, nel modello vengono "seminate" alcune infezioni, dalle q~ali viene prodotta l' epidemia. ~ E l'epidemia si sviluppa, ~~nei primi due o tre anni len- ...- tamente, poi molto bruscamente passando da circa 50 nuovi casi per trimestre al quarto anno a oltre 600 casi al settimo-ottavo anno, quando il picco di incidenza viene raggiunto. A quel punto l'incidenza scende progressivamente fino a circa 350 casi per trimestre intorno al quindicesimo anno e poi, in assenza di sostanziali modificazioni dei comportamenti a rischio o dell' efficacia delle terapie, si stabilizza crescendo lentissimamente fino a circa 400 casi al quarantesimo anno dall'inizio. L'epidemia nei primi anni si verifica in pratica tutta a carico della popolazione dei tossicodipendenti per via endovenosa, e non deve sorprendere che l'incidenza cominci a scendere relativamente presto. Pur non essendo una popolazione "chiusa", quella costituita dai tossicodipendenti per via endovenosa è senz' altro alquanto limitata (si stimavano circa tra i 12000 e i 15000 tossicodipendenti nel Lazio al 1988, a fronte di una popolazione generale di circa 5.000.000) e il numero di soggetti che iniziano a usare droga per via endovenosa è molto inferiore a quello dei soggetti che acquisiscono l'infezione, così che l'epidemia non può sostenersi a lungo ad alti livelli di incidenza: i "suscettibili" (coloro che ancora possono infettarsi) vengono a mancare, in modo analogo a ciò che succede alle comuni epidemie di malattie dell'infanzia (varicella, morbillo, ecc.) nelle scuole. Insomma, il massimo dell'epidemia è passato e l'incidenza cala progressivamente in questa popolazione perché l'epidemia ha fatto il suo corso tra i tossicodipendenti, non certo per presunte attività di prevenzione ancora oggi carenti e certo non attive prima del 1987. Che la fase più bruciante dell'epidemia si sia verificata in Italia intorno al 1987 è corroborato anche da altri modelli basati su tecniche statisti-

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