La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 1 - febbraio 1995

Ci sonostupidie stupidi Roberto Alajmo Nessuno rappresenta più le commedie di Ferravilla, e probabilmente è giusto così. Magari, ogni tanto, qualcuno cita Tecorpa nel corso di un~ conversaz1qne, ma nessuno s1 sogna di riscoprire l'opera di Edoardo F erravilla, attore milanese (1816-1915). Eppure _ilsuo personaggio più riuscito - Tecoppa, appunto - cacciato dai teatri, è tornato prepotentemènte ·d'attualità n_egliultim_i mesi,_arrivand<;>, sia pure m mcogmto, a copnre alte cariche dello Stato. Vale quindi la pena di spendere alcune righe per conoscerlo meglio. Tecoppa è una maschera tipica italiana. Volendo semplificare, unisce i caratteri del ladro, dello stupido furbo e del vittimista. Si circonda di ladri come lui o anche peggiori. Poi, una volta che i suoi imbrogli sono stati scoperti, ha delle reazioni che sorprendono per energia e infondatezza. La cosa che lo fa indignare più di ogni altra è trovarsi con le spalle al muro. Nei casi estremi, quando viene sorpreso palesemente con le mani nel sacco, la sua strategia difensiva consiste nel rigettare le colpe su chi lo accusa, cercando salvezza nella confusiqne dei ruoli di accusatore e accusato. A Tecoppa (cioè a Ferra villa) si deve la formula "ha parlato male di Garibaldi", che serve a stornare qualsiasi argomentazione in nome di un generico amor di patria. In un episodio, al pubblico ministero che chiede la sua condanna, Tecoppa risponde: "non accetto", e il giudice si trova in difficoltà proprio per la rozzezza del1' autodifesa, tanto impalpabile da risultare dìfficilmente confutabile. L'interlocutore si trova-in difficoltà: ha troppe ragioni per poterle esercitare con efficacia, quindi si confonde e confonde ulteriormente la situazione, auBibliotecaGinoBianco mentando il rumore da cui Tecoppa trae giovamento. In un altro episodio, il più noto, Tecoppa si batte in duello, ma dopo alcune schermaglie accusa il suo avversario di slealtà, perché muovendosi in continuazione non si lascia infilzare. Anche qui Tecoppa non consente in alcun modo alla realtà dei fatti di condizionarlo. Gli importa solo che l'antagonista venga trascinato sulle sabbie mobili di una logica se_nza fondamento. Anche a prima vista questi due episodi fanno pensare a una reincarnazione: il Tecop·- pa della politica italiana dell'ultimo periodo è Silvio Berlusconi. La prima situazione si è ripresentata addirittura identica nei giorni dell'avviso di garanzia, quando puramente e semplicemente il presidente del consiglio non accettava di essere inquisito, costituendo con questo assoluto inedito paragiurisprudenziale. Nel se·condo episodio citato non è difficile riconoscere un altro topos berlusconiano di questi mesi: l'accusa rivolta agli oppositori di remare contro gli interessi non del governo in carica, ma dello Stato, addirittura. Inopinatamente, di fronte ad una opposizione già in crisi d'identità, capace solo di seguire con lo sguardo il suicidio della maggioranza, TecoppaBerlusconi infierisce accusando gli avversari di slealtà perché non restano abbastanza fermi da lasciarsi infilzare. Rilevare l'incongruità della identificazione fra lo Stato e il Governo, se non addirittura la persona o l'azienda del Presidente del Consiglio, è stata l'unica risorsa delle opposizioni, che hanno cercato di segnalare questa confusione di ruoli. E successo però che ogni volta le loro obiezioni sono apparse cervellotiche e pretestuose. Anche i migliori retori della sinistra si sono cimentati nella denuncia dell'equivoco, ma il risultato è stato sempre uno di quegli incubi in cui si cerca di gridare e la voce non esce, e più si cerca di gridare più la voce non esce. Da qui viene il senso di frustrazione o, peggio, il filo di depressione con cui si è avvolta l'opposizione nei mesi immediatamente precedenti e successivi alle elezioni di marzo '94. Gli oppositori del Presidente del Consiglio non hanno tenuto conto di una vecchia regola: mai discutere con uno stupido, perché dall'esterno non ci si accorge della differenza, visto che la discussione tende a svolgersi sempre al livello più basso. La stupidità esiste perché esiste qualcuno capace di additarla. Ma se c'è un terzo punto di vista, in questo caso quello dell'elettore, la scena di uno stupido che discute con una persona normale appare semplicemente come quella di due stupidi che discutono fra loro. L'osservatore-volante finirà per preferire, dei due, lo stupjdo che riesce a capire meglio. Fanno male, quindi, le opposizioni a seguire il rumore provo<.ato da Sgarbi, ad assaggiare tortellini da Funari. Alla fine stupidi risultano essere sempre gli ospiti della stupidità, mai gli Sgarbi o i Funari. O forse anche gli Sgarbi e i Funari, ma in misura minore. E col sistema maggioritario a vincere è sempre il meno peggio. Per capire il meccanismo del contagio, aiuta ricordare la scena del film Il ritorno della Pantera rosa in cui Clouseau e Dreyfus, suo superiore diretto, discutono nell'ufficio di quest'ultimo. Clouseau crea una tale confusione che alla fine sarà lo stesso Dreyfus a spararsi sul naso, confondendo-la pistola vera con un accendisigari a forma di pistola. È il pieno gradino di una escalation che porterà Dreyfus in manicomio e Clouseau ad essere promosso ispettor capo. Dove, secondo la classificazione di Musil, Clouseau è lo stupido solare e Dreyfus è lo stupido intelligente che si mette incautamente in relazione con lui sulla base di una presunzione di superiorità. Da una conversazione del genere la stupidità esce smagliante, l'intelligenza a pezzi. Attraverso un processo del genere riesce a trovare ri-

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==