il Potere - anno I - n. 3 - settembre 1970

pag. 4 Lettera a Guido Carli ALL'AUTUNNO caldo ha corrispo- sto l'estate fredda: protagonisti dell'autunno calcio sono stati i sindaca• ti, protagonista dell'estate fredda è sta– to il professo,· Carli, presidente della Banca d'Italia. Il professor Carli ha avuto l'ultima parola: alla sua precisa pressione, i sindacati hanno risposto soltanto con un brontolìo. Ci sono dei limiti oltre cui i sindacati non vanno: sono i limiti del sistema, di cui Carli è, ad un tempo, interprete e custode. Ma Carli ha vinto anche un'altra partita: quella che lo opponeva ad Emi– lio Colombo esponente e portavoce ciel· l'ortodossia finanziaria nel governo. Da tempo le corrispondenze romane segna– lavano il dissenso tra il ministro e il presidente. Le eccessive richieste che la tesore– ria trasmetteva alla Banca d'Italia, se– gno cli cedimento ciel ministro alle pres· sioni politiche e sociali, ponevano Car– li in difficoltà. Il rifiuto cli andare oltre un certo limite, nella copertura monetaria delle disavventure della finanza pubblica, contrapponeva Carli a Colombo: anche la moneta aveva la sua linea ciel Piave e Colombo aveva passato di molto il Tagliamento. E, in primavera, il Piave mormorò: le banche diedero un giro cli vite alla loro attività creditizia. Le piccole e medie imprese strabuz– zarono gli occhi. In quella circostanza Fanfani annun• ziò (con l'approvazione cli Andreotti) cli voler promuovere una legge sui sin– dacati e sugli scioperi; Rumor fece una crisi di governo; i socialdemocratici l'allungarono. Ma Carli non mollò. Noi mesi dell'incertezza il sistema parlò con la voce della Banca d'Italia. Accadde poi che Colombo, dissen• ziente dalla linea Carli nel governo, di– venisse presidente del consiglio inseren– dosi nella stretta, ma decisiva fessura che stava tra Anclreotti e Taviani. Carli sembrò in pericolo. Ma immecliatamen• te Colombo si affrettò a sanare, come presidente ciel consiglio, i suoi trascor• si di ministro del tesoro e presentò al Paese i conti dell'autunno caldo in /or• ma cli imposte indirette. I sindacati borbottarono; il Piave ce l'aveva fatta; Carli aveva vinto su tutti. La sua linea otteneva il placet del governo e del– l'opposizione: i comunisti, già durante la crisi, avevano offerto la loro piena disponibilità. Carli ha espresso bene il suo ruolo che, nella presente congiun– tura politica, è decisamente formida– bile. -- Professore, ella ha fatto una bella carriera! Dopo aver diretto l'ufficio cambi, fu chiamato da Zoli al ministe· ro del commercio estero: vi rivelò una grinta encomiabile. Un suo amico, Ro· ger Peyrefitte, compromesso per aver anticipato quel ruolo di difensore degli omosessuali oggi fatto proprio persino dall'episcopato olandese, aveva attacca– to personalmente Pio XI! in un suo fi. bro sulle « chiavi di san Pietro». Un telegramma di solidarietà a Peyrefitte costituiva atto compromettente: eppure ella Io fece. Già conosceva abbastanza bene la nostra classe politica (vatica· na compresa) per sapere che non sa– rebbe successo niente: la successione di Pio Xll era già aperta. Comunque, ella, professore, mostrò una notevole decisione. Poi diventò presidente della Banca d'Italia: meritata carriera. Finalmente ella aveva un ruolo commisurato ai suoi talenti: un ruolo di censore, di controllore razionale della irrazionalità politica. La Costituzione monarchica del no– stro Stato presupponeva dei poteri qua– si indipendenti, dei chiusi corpi buro– cratici, tali da assicurare la continuità dello Stato e dotati di forza sufficiente per opporsi, in numerosi casi, alla vo– lontà del potere politico. La nostra re– pubblica ha religiosamente conservato queste antiche istituzioni, di cui la sua banca è forse un esempio classico. Ella ha saputo far ben navigare la banca in acque agitate: ha saputo capi• re che nel Paese vi era una volontà reale di conservazione che andava al di là dei confini tradizionali di sinistra e di destra, che coinvolgeva la base dei sindacati ed imponeva la §Ua legge an– che ai vertici. Non ha costretto la ban· ca negli angusti confini della destra storica e politica. Ella ha capito che il miracolo economico era una grossa base d'intesa delle forze sociali così co– me delle forze politiche. L'istituto dell'ortodossia finanziaria era ed è l'istituto della egemonia bor– ghese, della volontà di vita facile e tra,iqui/la, del grande silenzio sui va– lori. Nessuno vuole scosse. Nessuno. La maggioranza silenziosa in Italia è imponente e comprende persino la mi– noranza che protesta: infatti le ragioni per cui si prolesta sono sempre subor– dinate a quelle per cui si ritiene, a un certo punto, di dover stare zitti. L'Italia è un Paese disciplinato, pre– sidente. La repubblica conciliare, qui, sarà la repubblica dei ragionieri. Chi ha detto che la classe operaia non è classe di governo? Lo è, presidente, Io è: è soprattutto classe di governo. Ella ha potuto imporre la razionalità del si• stema: contestar/o è troppo oneroso. li capitalismo, come ogni potere di questo mondo, sa bene che un sistema economico non è mai autenticamente contestato per motivi economici, ma solo per motivi spirituali e morali. Un mondo reso cinico e scettico è un mondo reso organicamente conser– pa/ore. I nostri 1nezzi di comunicazio– ne sociale lo sanno benissimo. Alle ra• gioni monetarie si arrenderanno sem– pre tutti coloro che hanno rinunciato ad una diversa gerarchia di valori su cui strutturare una più ordinata ed umana convivenza civile. E, allora, non resta altro che la ra· gione della forza, mascherata da forza della ragione, che ella, tanto egregia– mente, interpreta. Filippo Peschiera bibliotecaginobianco il POTERE Settembre 1970 IL SINDACATO OGGI IN ITALIA Un LA situazione giuridica nel mondo del lavoro ha presentato, col rin• novo contrattuale della seconda metà del 1969, e, precedentemente, in nume– rosi accordi aziendali stipulati nel pri– mo semestre di quell'anno, spunti evo– lutivi di notevole interesse, che peral– tro hanno avuto, nel mondo della cul– tura giuridica, segnalazione e studio solo da parte dei più provveduti ed evoluti cultori di questa branca del di– ritto. Anzitutto, quanto ai soggetti: la par– tecipazione alle trattative, dei rappre– sentanti sindacali aziendali, largamen• te accettata già in occasione degli ac– cordi sindacali del primo semestre '69, in quel momento ancora non ricono– sciuti contrattualmente, aveva intro– dotto de facto una più larga parteci– pazione dei lavoratori alla forn1azione della volontà comune ed una loro ro– tazione. Tale prassi, destinata certa– mente, e ormai sperimentatamente, a dare una maggiore fermezza alle trat– tative e una più accentuata rigidità al loro andamento, ha dalla sua i van• taggi derivanti da una più consolidata certezza della trattativa stessa, e di una più immediata aderenza alle istan– ze dei singoli e dei gruppi o, meglio, della maggioranza dei singoli e dei gruppi. Questo ha dato e dà anche alla trattativa una essenzialità di temi, da cui la prassi ha ormai insegnato che è vano fuorviare. La contrattazione articolata Per quanto riguarda gli strumenti, il sindacalismo italiano aveva da qua– si un decennio a disposizione uno stru– mento tecnico rivelatosi di grande va– lidità, anche se di estrema delicatezza: quello della « contrattazione articola– ta » che, introdotta nei contratti del 1962-'63per ben definite, e poco nume– rose materie, e con assegnazione di precise competenze, aveva svolto una funzione importante lungo gli anni pas– sati, soprattutto in certe aziende signi• ficative del settore pubblico. Quello della contrattazione articolata era, in definitiva, un primo, delimitato e cir• costa.nziato passo di contrattazione a livello aziendale, una prima modesta e condizionata forma di alternativa ge– stionale dell'azienda, limitata nelle ma– terie e negli obiettivi, ma, infine, un sistema sperimentale, giuridicamente garantito, di autogestione. Lo strumento diede i suoi frutti, tan– to che, in occasione dei rinnovi con– trattuali, quando già si era in presen– za di numerose esperienze che anda– vano al di là della stretta norma con– trattuale, si parlò di una sua evolu– zione o di un suo perfezionamento, in termini però che furono alla fine ri• fiutati soprattutto ad opera delle cor– renti innovatrici. Queste vedevano, in una regolamentazione rigida dello stru– mento, un rinnovato rafforzamento del– la gerarchizzazione sindacale, una isti– tuzionalizzazione rigida dei livelii e, in definitiva, una conferma, o un ritorno, di forme, strumenti, situazioni, uomini, che il nuovo sindacalismo attivo stava demolendo. Sulla carta, il sistema rimase con le limitazioni e i livelli che lo avevano caratterizzato al suo primo apparire, nel 1962-'63;di fatto, invece, si struttu– rò nella nuova accezione, che un illu– minato pragmatismo gli aveva già fatto assumere, di contrattazione veramente articolata, e cioè aziendale, su tutti i temi che la mutevole vita sindacale porta volta a volta all'attenzione delle parti. La nuova organizzazione inter– na aziendale aveva ed ha, via via che essa viene affinandosi, favorito, con la sua partecipazione, l'affermarsi del si– stema nella nuova, dinamica conce– zione. Una fase rivoluzionaria In questo quadro, si è ovviamente affacciato il grosso problema del con– tratto nazionale, che via via superato dalla contrattazione aziendale, poteva e può apparire quanto meno una su– perfluità. Ed in proposito è stato auto– revolmente affermato che « il contrat. to viene firmato per far cessare il conflitto in atto, non per garantire le aziende da quelli possibili in futuro ». Principio che, se accettato, porta a so• stanziali revisioni giuridiche, in un campo del diritto, come quello del la• voro, che deve entrare anch'esso, cosi come tutta la vita sociale e sindacale, di cui regola le sorti, in una fase del tutto nuova, e, vorremmo aggiungere, rivoluzionaria. Quanto ai contenuti, infine: quel che nuovo diritto per l'impresa si è detto in tema di contrattazione aziendale articolata (ma il tema ri– chiede, anche solo sotto il profilo so– ciale, una più estesa trattazione) dà già una risposta relativa ai contenuti. Si può dire che non vi sia aspetto del– la vita intraraziendale che non possa essere oggetto di contrattazione arti– colata, secondo la nuova accezione di essa, che una prassi di oltre un anno ha ormai consolidato. Ma se dovessimo cogliere una linea generale di solido attracco, dovremmo dire che il tema prevalente è quello della difesa della condizione umana e della persona umana in azienda: dal– l'esame delle condizioni ambientali a quello dei ritmi di lavoro, ai sistemi di misurazione della produttività, agli orari, alla regolamentazione dello straordinario, all'inquadra1nento pro– fessionale. Questi i temi ricorrenti, che si possono ricondurre al quadro della difesa dell'uomo sul posto di lavoro e nell'ambiente di lavoro. Non è escluso che, in tutta questa materia, siano possibili in futuro, ed evidentemente sui piani diversi, a cui la contrattualistica avrà portato il mondo aziendale, nuove sistematiche razionalizzatrici: ciò non sembra per altro prevedibile solo a lunga scaden– za, allorché anche la tecnica giuridica si sarà soffermata su questi temi, li avrà fatti propri e li avrà misurati con gli strumenti della politica giuridica. Quale l'atteggiamento imprenditoria– le di fronte alla nuova problematica? Non c'è dubbio che durante le fasi più acute dell'autunno caldo esso è sta– to di netta chiusura e di rifugio in un rigido !egalitarismo. L'effettuazione di scioperi in forme nuove, in concomi– tanza con le trattative, ha prodotto in taluni ambienti imprenditoriali autenti– ci stati di choc e il richiamo energico ad una prassi seguita ormai da anni. In realtà, però, di fronte all'avallo dato dalle organizzazioni sindacali tradizio– nali agli scioperi spontanei (avallo che ha rappresentato uno degli aspetti del– l'iniziativa volta a controllare l'attivi– tà dei gruppuscoli e a frenare la loro tendenza disgregatrice), l'atteggiamen– to imprenditoriale ha finito con l'ac– cettare, con sfumature diverse, la nuo– va realtà sindacale. Aziende private e a partecipazione statale Distinzioni vanno fatte fra le azien– de a partecipazione statale e quelle pri– vate e, ancora, all'interno di quest'ul– timo gruppo. Le aziende a partecipazione statale e, quindi, le grandi aziende del nord hanno rapidamente afferrato i termi– ni di una problematica, del cui for– marsi erano state esse stesse non di– sinformate spettatrici all'interno delle aziende, avvertendone gli aspetti poli• tici di primo ordine, come quelli della salvaguardia della funzione del sin• dacato. Del resto, le più provvedute, organizzate ed attente fra le aziende sono facilmente orientate verso i mo– delli d'oltre oceano, da cui esse hanno mutuato via via nel tempo, dopo la fine della guerra e dall'inizio della ri– presa industriale in Italia, tecniche, si– stemi, contenuti. Il che è indubbiamente un modo di porsi di fronte al mondo del lavoro: cercare cioè di razionalizzare le ten– denze, nun1erose e mutevoli, di esso, sia sul piano organizzativo che su quel· Io dei contenuti, accettando - come ha detto il presidente dell'Intersind - « la sfida innovativa, che è congloba– ta in tutti questi fatti confusi e contradditori ». Egli concludeva defi– nendo la posizione delle aziende a partecipazione statale come quella che cerca di contemperare « le esi– genze proprie dell'attività produttiva in un sistema capitalistico maturo, con le esigenze di un popolo, che è cresciuto, come la sua grande indu– stria, a nuove esigenze, sia individuali che collettive ». In maniera meno scoperta e defi. nita, le grandi aziende private nel nord possono dirsi su una linea abbastanza parallela, anche se il loro attaccamen– to formale a certe linee giuridiche, po– ste a salvaguardia di interessi molto concreti, dà ai loro atteggiamenti una motivazione di mera convenienza op– portunistica, piuttosto che di una con– vinta linea politica; d'a•ltra parte il lo– ro atteggiamento, qualunque fosse la motivazione che il management pri– vato più avanzato dava al suo modo di inquadrare le situazioni, è larga– mente condizionato dalla pleiade di piccole e medie aziende, per cui costi– tuiscono problema non solo gli aumen– tati costi, ma anche le nuove significa– tive concessioni sul piano dei rappor– ti intra-aziendali: concessioni che ven– gono ad inceppare o ad alterare un loro modo tradizionale di concepire la vita interna dell'azienda ed i rap– porti con i lavoratori (si pensi in quante aziende non esiste la con11nis– sione interna o il delegato d'impresa, e quanto sia paventato e scansato il lo– ro avvento). Una remora veniva anche dall'appa– rato confindustriale, a cui le nuove con– cezioni e la nuova ampliata prassi del– la trattativa articolata aziendale pote– va togliere la prerogativa, rigidamen– te mantenuta, dei rapporti intersinda– cali. Strappi nella tradizionale compattezza padronale E' quindi non facile distinguere an– cora oggi la linea di tendenza che la associazione degli industriali privati se– guirà di fronte alla nuova realtà; for– se essa si sta adeguando ad una poli– tica del caso per caso, che è quanto dire azienda per azienda, abdicando per intanto a certe sue prerogative di « domina» dei rapporti intersindaca– li; ma è certo che, alla lunga, una li– nea politica dovrà prevalere e valere, ed è significativo che la tradizionale compattezza confindustriale sia anda– ta subendo degli strappi e degli sfilac– ciamenti. II rapporto della commissio– ne Pirelli e l'attività dei gruppi dei giovani industriali, che hanno ora tro– vato anche una inserzione organica nell'alta dirigenza confindustriale, so– no li a di1nostrarlo. Una definizione sistematica, oggi, del mondo sindacale è, da quanto si è ve– nuto dicendo, pressoché impossibile: troppe incognite, anche nella stessa ala traente, attendono ancora una solu– zione. Una componente, di cui qui fi. no ad ora non si è fatto cenno, ma che avrà indubbiamente influenze notevoli nello sviluppo sociale del Paese, è quella dello Stato: come opereranno il governo e il parlamento, di fronte ad una vera rivoluzione della vita sociale quale quella che si va dispiegando nel mondo della produzione? Governo e parlamento Governo e parlamento non possono certo pensare di avere pagato Il loro debito verso un mondo ricco di moti– vi, ed ampiamente evolutivo, i cui con– fini coincidono con quelli stessi della intera comunità nazionale, con l'appro– vazione dello statuto dei lavoratori, o con qualche contatto sporadico, anche se programmato, con le organizzazio– ni sindacali dell'una e dell'altra parte. Né possono sperare di contemperare le esigenze della produzione e dei la– voratori con quelle della comunità na– zionale in un quadro di programma– zione incerta e fatiscente e, in defini– tiva, inutile quale quella che ci è sta– ta ammanita per il quinquennio alle nostre spalle. Il problema è un altro e non vo– gliamo qui neppure accennarne le com– ponenti, dopo quanto siamo venuti di• cendo: è tuttavia evidente che la nuo– va éra industriale non può essere sol– tanto frutto dell'iniziativa dei lavora– tori, i quali giustamente puntano alla autogestione, e degli imprenditori più illuminati. Mario Enrico

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