Pattuglia di punta - anno I - n. 2 - dicembre 1941

Il romanzo epislolare avevu latlo il suo lcmpo nell'ormai lontano Settecento e di esso dalle lettere di AbeJardo ad Eloisa, a quelle dcli' Ortis foscoliano ci era rimasta nella memoria una [issa ed illustre determinazione attorno alla quale perduravo l'eco dolciastra e molle di un mondo romantic~. Genere ormai classiCicato e trasferito nella sede delle cose che non più si ripetono. PECCADTIUI NANOVIZIA Or ecco Guido Piovene presentare personaggi, trame macchinose, psicologie complicate, attraverso il carteggio di una novizia con due preti e carteggi più brevi rra essi e In badessa del com ento e un Vescovo, fra persone l'stranec ancora alla vita della novizia stessa. Ln novizia, ~largherita Passi al secolo, è un tipo di donna che ha commiste in sè malizia rarfinata ed ingenuitll da istintiva. Intorno a lei si forma un mulinello di po.ssioni, talune soltanto du lei immaginate, talaltre reali e il tale giro coinvolge quanti le sono a contatto. Il suo gioco basato su una narrazione di finti avvenimenti, Podio della madl'e, la vita giovanile interrotta per la reclusione in collegio, il ritorno in cnsa, il riaccostumcnto alln mndrc della <1uale diventa la conridente in una passione segreta, 11 innamoramento per un giovanotto di cui di,enta P amante e che uccide durante una colluttazione, 11 esilio in convento, non avrebbe possibilità alcuna di emergere e di assumere un tono tragico o,c non ci fossero le teucre di estranei che mettono nella giusta luce l'animo scaltro, ma miserevole della ragazza. L1 abilità di movenze della Passi rn sì che su di lei lutti si ingannino, specie come si C detto per eUetto della sua innocenza, sia essa eHetto di un molo genuino dcll' animo, sia cautamente studiata. t:ceo per esempio la chiusa della prima lettera o. Don Searpa: • \'on potendo risoh·cre nulla per quanto io pensi, ho spalancato la mia finestra, ho rinunciato umilmente a qualsiasi giudizio, e raccogliendo tutti gli elementi possibili li ho posti dinanzi a voi e al vostro indulgente acume. Io non sono una santa, ma non sono cattiva. Non potrei sentirmi cattiva proprio ora che la mia anima risponde con tanta fragranza a questo bel chiaro di luna•. Dove non si sa bene distinguere tino a che punto sia mero espediente letterario del narratore. Certamente molta parte del romanzo si basa su qualche cosa di eonvcnzio• nate e, primo [ra tutti, il mondo del convento, la figlia maltrattata, la ruga, lo scandalo, In morte nella prigione dopo compiuto il secondo delitto. Egualmente convenzionale è P interesse dapprima umano di Don Paolo Conti, inteso a redimere un'anima e a portarla sulla via giusta, poi trasrormatosi in profano amore. La macchina, in conclusione, del romanzo non ha nulla che agli occhi non s' affacci come alcunchè di comune, di popolare in senso dcte• riore diremmo. Pèrciò la sua originalità, la sua vita sul piano cieli' arte, non va ricercata in quella macchina, in quel mondo che la fantasia popolare si spesso ha acceso, per una sorte di concupiscenza ,·erso quanto può essere scandalo, mn viene scoperta nell'impegno quasi punanalisi quasi esasperata con cui tale assunto si mnniCesta. Si guardi la prefazione: • Noi uomini moderni non possiamo aspirare alla stupenda ignoranza di alcune zone pericolose delP animo, che garantiva la vil.a dei nostri antichi. Noi siamo costretti ali' acume. Appunto per questo occorre moderarlo continuamente cli una pietà guardinga, di una carità volontaria, che impedisca all'acume di dominarci ciel tutto e diDONNA venire una passione cd un vizio. Biso· gna ammettere che lo stato dell'uomo è stato' di infermità, ed ognuno di noi deve cerlo capirsi, ma soprattutto assistersi e prendersi in cura. Ognuno di noi, come medico, nel suo animo deve saper rischiare o abbuiare, ricordare o, se occorre, lasciar cadere nell'oblio, e regolare la chiarezza interiore con una specie di umana diplomazia. Diplo~ mazia, ma quella stessa che insegna a nascondere anche nel nostro segreto le cose meno degne dell'onimo nostro, tiglioso cieli' immagine dei sentimenti, a dissimulare il rastidio che ci dà un ~òricJàz'ionèi ~urhmll: Forff"a'eto, lleprnearnesneinza mostrarlo il peso di un matrimonio increscioso i ~ ad ammettere in noi solo quello che è utile, che può diventare buono. I personaggi dcJ mio libro possic• dono quest'intima diplomazia, ma volta a cattivo scopo e ad csclusfro profitto della loro pigrizia e del loro egoismo ... ... pure in ciò che scrivo si sente, non il pensiero cattolico che sarebbe eresia, ma il riflesso di una civiltà del sentimento, che nasce dalla pratica del di RENATO BIR.OLLI cattolicesimo e dalla sua cauto legislazione <lei sentimenti dcli' uomo ... » Più scoperto il Une non potrebbe essere e negli sviluppi che il romanzo attraverso le lettere assume questo fine non viene mai meno. c:Diplomazia intima » la chiama Piovene, • volta a cat~ tivo scopo• e altrove atrerma in merito ai personaggi c:tutti ripugnano dal conoscersi a fondo ». Ne consegue una indolenza di mosse, un falsare di senti• menti, una quasi svenevolezza nello esporre i Falsi che divento sensualità della parola, ma sensualità. riposta, ap• pena percettibile, come le vene sotto il grasso degli obesi. Ognuno agisce secondo quello che in quel momento gli conviene, commovendosi artiricialmcnte agitando come una verità la bandicr·a della propria malafede, senza pudore, chè la malafode, abito fisso di un individuo, non conosce il ritegno, non la tremula castità del proprio recondito io. Appunto pcrchè ciascuno non scava in sè, perchè ha paura di vedere netti i contorni della propria nnima e rirugge daU' analisi e dal controllo degli im• pulsi dell'istinto! Ha visto l' Alicata, ci pare, nel Piovene l'aspetto di saggista e noi saremmo per dargli credilo ove non collegassimo <JUei caraUeri, quelle prospetlivc spirituali, quell'indolenza serpigna, quelle movenze lente ali' indole dei paesaggio ,cncto (.:La rinestra guardava il giar• dinctto e nel fondo1 tra due quinte di colli, la pianura padana: solitario paesaggio nel quale il ricordo ritrova solo due palme stente e poi una nebbia piena di un chiaro spento ... ,.. - c:l1 paesaggio era triste per un eccesso d'arte, quasi non fosse nalura ma quadro. Ci apparvero in lontananza, sulle estreme propaggini <lei colli sulla pianura, due castelli rossastri ... • - •Dietro di noi si alzava finn montagnola copet·ta cli un bosco cupo, il più misterioso tlci colli. La luce bianca delle stelle toccava la massa scura delle fronde ... • - cCominciò allora a tarsi luce, una luce però che pareva emanare dai veli di nebbia bianca raccolti nelle vallette ... • - •La pianura ai miei piedi era co• perla di nevo e i Filari dei gelsi, leggeri come la piuma, apparivano quasi in una fosforescenza. La neve riprese a cadere in quel baratro di aria. Cadeva turbinando, ma in mezzo al turbine io riuscivo a distinguere sacche d'aria tranquilla, dove i fiocchi calavano con innaturale lentezza.•) cosi pigro, con quel chiudersi in vallette verso i colli, con la confluenza di masse d'acqua torbide e Jente, con la monotonia quasi fiabesco delle sue variazioni, ricco di una musicalità torpida e sensuale come il carattere ciarliero dei suoi abitanti, velato da un'ombra di bugia; un paesaggio, dico, nel quale le passioni violente e truculente non esistono quasi~ e tutto si sposa a una malia che sa d'oro falso e che bonal'iamcnte avvince, smorza, deforma. Dall'amore per questo paesaggìo mi pare nat.o il romanzo; i personaggi sono venuti dopo l'ambiente e t,ali solo potevano essere · in mezzo nd esso. A quest'ultimi il Piovcne ha pre• stato una macchina rosa dall'uso e romanzescomente tradizionale, non ha saputo smcronizzare paesaggio e figure, queste in funzione di quel101 sopra una pagina aècurat.a, con un suo stile particolare, caldo, armonioso, senza scatti nè impennature, chiuso nel giro d1una musica interna, come lo sono i pers(•naggi nell'alone tiepido, monotono e pur vago della natura che li circonda. GARIBAlDO /ITARUSSI Gu100 P10VENE - Lettere di una no~ vizia - Bompian,i - 41-XIX • Milano - L. 16. 9

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