Nuova Repubblica - anno IV - n. 49 - 2 dicembre 1956

( 159) nQova . repubblica 3 LETTERA DI UNCOMUNIS Le caratteristiche di organizzazione che ci hanno permesso di fare del p"artito un potente strumento df combattimento non sono più idonee, così come sono, alla via italiana del socialismo, alla necessità di creare strumenti validi di ricambio interno di AURELIO MACCHIORO Aurelio Macchioro, professore a Bori, e11lrò (lio– va11issimo nell'antifascismo militante a Vil'enze, e qui vartecipò alla •Resistenza /ianco a fianco con _e Giustizia e Libertà». Passò poi al partito èo– munista. Egli ci ha inviato questa leltcra aperta, che 7mbblichiamo intearalmente, lieti clie Nuova llepubblica po3sa essere tribuna di un dibattito cosi importw1te. Rinviamo al prossimo 1111mero, per evidenti ragioni di spazio, la nostra rispo.,ta: svera,1do che altri rwssano partecipare alla discus– sione aperta dalla lcllera di 3/acchioro. Caro Codignola, permettini di dire anche io la mia, sebbene ... io sia un comunista, e un comunista iscritto dal 194~. Ci cono– sciamo da molto, nevvero?: dal tempo, almeno, della guerra partigiana, che abbiamo. fatta assieme, e nelle medesime formazioni politiche, allora ... Poi, dal 1947, io andai a cercarmi, per così dire, il proletariato fra i pro– letari: e quando compii quel passo non avevo letto né Gramsci, né Marx, né Lenin e di marxismo conoscevo soltanto quello che Croce ci aveva ammannito, con con– seguente « dissoluzione ». Poi ho letto i classici del marxi– smo e, insieme, ho frequentato, come frequento, quella che nel gergo si chiama la base: un corso teorico-pratico completo?! Già, proprio così: la vita, a prenderla sul serio, è sempre e deve essere sempre un corso teorico-pratico. Talché, quando nel 1947 mi iscrissi al partito, pur senza nessuna base ideologica, stentando molto a comprenderlo, io credevo di aver compiuto un semplice atto della prassi, un atto « sentimentale», insomma; mentre era già allora anche atto di pensiero, primo atto di autoco– scienza critica, primo atto di filosofia della prassi, dove il soggetto non è -meno necessario del complemento di specificazione: giacché la filosofia della prassi (o il marX:i– smo) non la si capisce a priori, ma, per così dire, cer– cando dal di dentro. E, caro Codignola, hai un bel dire che i concetti di classe, lotta di classe, che· i termini borghesia e prole– tariato, e struttura di classe sono formule vuote: sono formule pienissime, strumenti critici formidabili, str--u– menti di eurisi, addirittura, decisivi; cui noi dobbiamo afferrarci perchè sono, appunto, strumenti teorico-pra– tici senza dei quali né si capisce la realtà in un certo modo, né la si fa in un certo modo: il modo che di– spiace ai generici del progressismo sociale, che vogliono aSpèttare, graduare aspettando, inverare, trascendere e ponzare 1 trescando, per lo frattanto, fra una legge truffa ed una poltrona ministeriale color rosa sociale: come Saragat o il ministro :ftossi, per es. Si faccia la unificazione socialista su una « base di classe », insistono i socialisti di Nenni - ed insistiamo anche noi - che siamo interessati al dialogo! « Base di classe)), sorride Nuova Repub,blica: di qual frasario-scib– bolet sono prigionieri ciuesti « classisti », specialmente se sono iscritti al PCI! Classe è entità metaffsica, Croce l'ha dissolto da un bel pezzo, questo concetto: è un flatus vocis, è un concetto naturalistico, oppure un'idea– forza, fatto della volontà e non del pensiero: quante interpretazioni si sono date a questo concetto ... pur di dissolverlo: bisogna parlare di lavoratori - in gene– rale - e non di classe operaia: non siamo tutti 1avora– tori? Certo non potrò star qui a spiegare che significa << base di classe »: me ne mancherebbe il tempo e la discussione si farebbe accademica. E me ne uscirò per il rotto della cuffia, mettendo in guardia non contro un errore di pensiero (il falso concetto di classe dal quale, a mio giudizip, voi partite) 1 ma contro un pericolo di fatto: e cioè contro il risuLtato che, inverando-superando– ironizzando sul concetto 'di classe, si corre rischio di con– trabbandare. Il risultato che si corre rischio di contrab– bandare è il socialismus genericus, il radicaleggiamento e l'irrequietudine sociale... tanto comodi alle aperture sociali dei padroni del vapore, ai quali giova, non nuoce, che il socialismo dilegui nel genericismo e che ci si ri– trovi tutti, ad essere socialisti. La unificazione socialista la si faccia col minor numero possibile di codesti supe– ratori, che non ci credono, al concetto di classe, e col maggior numero di quelli che ci credono. Gli otto decimi di quelli che non ci credono sono dei contrabbandatori, che al posto del socialismo pongono il genericismo sociale o dei letterati che amano gli operai ma con gli operai non ci sanno stare. E quando ci si è impantanati nel socialismo dei generici non c'è moralismo che possa sal– vare - specialmente quando la base ideologica è vacil– lante e il concetto di classe_ è_ stato « superato » nella ironia o nella saccenteria. A meno che; ben s'intende, non ·si voglia fare, anzi– ché un partito socialista, un partito radicale - un quissimile del « socialismo vero» del Partito d'Azione - nel qual caso· il concetto di classe diventa, sì, molto ma molto impiccioso. Tragedia ungherese: incominciamo col guardarci in faccia (io e tu). Che il gruppo dirigente ungherese (Rakosi, Geroe, ecc.)_ abbia commesso errori mostruosi i •fatti lo hanno dimostrato; che questo proponga pro– blemi non solo di miglior tecnica politica, ma di gua– rentige democratico - costituzionali è cosa che concordo senz'altro; che male, abbia fatto il governo Geroe a chiedere l'intervento sovietico (parlo del primo inter– vento) e il governo sovietico a concederlo, pure ammetto senz'altro; non accetto affatto la formula del « doloroso» adottata, all'epoca del primo intervento, dal mio partito, ed ho espresso vivacemente ed aspramente . il dissenso nelle istanze di p!u-tito; e dissento aspramente dal con– tegno assunto dal nostro gruppo parlamentare al tempo del primo discofso Martino pro-Ungheria; bisognava al– zarsi a celebrare i morti, o con gli altri o da soli, dif– ferenZiando, ben s'intende, in ogni caso, il gesto; noi, invece, siamO rimasti in cagnesco seduti, moralmente isqlati, il che, dico, poteva e doveva non essere; con-· vengo pure che l'intervento delle truppe sovietiche giovò più che altro a coagulare le opposizioni sul piano nazio– nalistico; tanto più che l'esercito sovietico, in linea di fatto, volle intervenire blandamente ... lasciandosi far fare la rivoluzione sotto il naso, una rivoluzione che assunse tutte le· vesti di una vittoriosa cacciata di barbari e di carri di acciaio ad opera di indifese mani di insorti. Sono prontissimo a riconoscere il coraggio degli insorti e piango con le mamme dei morti controrivoluzionari e non, ungheresi e· non. Arrivato a questo punto, però, caro Codignola, non ho più nulla da consentire. La reazione non era « in agguato )) come aveva tentato di farci credere l'Unità da principio; fu acuita dalla presenza stessa delle armate sovietiche però ... la. reazione insorse; insorse, d'accordo, naturalmente e naturalissimamente per colpa di errori iniziali e di errori successivi, recito il mea culpa, mi batto il petto ed il capo, non ci ho dormito su per delle notti (è la verità) ... ma la reazione insorse. Il brav'uomo Nagy si lambiccava, prometteva, di– chiarava: era smarrito e contribuiva validamente allo smarrimento, mentre obbiettivamente le cose assumevano il corso che sogliono prendere in queste circostanze: la restaurazione del clerico-fascismo o del salazarismo o del peronismo, con bande armate che scorazzavano in nome della Libertà Magiara e di Petoefl, di Santo Stefano· e di Luigi Kossuth: ci era non solo l'aria dello squadrismo e del moscardinismo, ma ce n'era la realtà. Nagy, intanto, componeva: che cosa componP.ya? Componeva governi di « unità nazionale ». Santo Cielo! Governi di « unità nazionale»!! e come si fa? Con comunisti, socialdemo– cratici, FfQ.icali, fascisti e clericali? Proprio cosi, Nagy lavorava èÒsì, e così tentava di riuscire a fare qualcosa: che cosa, poi? Chi lo sa, lui non lo sapeva di certo, i chiosatori politici nostrani, che hanno versato tanti fiumi d'inchiostro disdegnoso, non ce lo hanno d'etto ancora. Ci hanno detto, bensì, e ce lo hanno detto persino 1' Avanti! e Nenni in persona che lì c'era la Libertà in ge– stazione, levatrice il volenteroso Nagy. Libertà di che, con che, di chi, con chi? Non sappiamo e non ci è stato detto, in tanto fiume di parole. Nel quale anche il PSI si è gettato vigorosamente a nuotare, in compagnia di chi strillava, salmodiava, inveiva, additava all'obbrobÌ-io noi, i comunisti, infami ed assassini. Nenni ha fatto il · padre nobile verso di noi, pur proclamando· di volersi distinguere dalla canea anticomunista - avrebbe dato maggior contributo, anche se con minor messe di allori, se avesse tentato un minimo di interpretazione critica, pur nel dissenso, e di mediazione valutativa. Non ci è sfato detto, dico, con chi Nagy volesse par– torire la Libertà: Libertà, ma come? Giacché financo una legge elettorale o un qualsiasi atto di regolamento go– vernativo comporta un che e un come: mi sai tu dire quale che e quale come poteva uscire dal governo onni– colore di Nagy? Se me lo saprai dire sarà il caso di pro– porti a primo ministro per tentare un policolore di unità nazionale che vada da De Marsanich a Togliatti. MA LASCIAMO la celia: in effetti la realtà ha sempre la soluzione ai rebus: nel governo onnico1ore di Nagy, i più deboli, esautorati, scissi erano i comunisti: i socialde– mocratici erano appena ri-nascituri, c'erano di consistente, soltanto, le bande armate clerico-restauratrici e il cardi– nale Mindszenty. Questa la piattaforma di partenza, checchè volesse Nagy; e, come sai, i punti di partenza condizionano i punti di arrivo. A1tro che Libertà Ma– giara con !'elle maiuscola! Intanto Nagy chiedeva tante, tantissime cose: per es. che le truppe sovietiche sgom– brassero dal paese e che l'Ungheria uscisse dal Patto di Varsavia, e ricorreva all'ONU. Dunque, costui non rap– presentava altro che se stessO; costui rappresentava ob– biettivamente, checché volesse o· dicesse, la copertura del clerico-peronismo, chiedeva cose che implicavano trat– tative complesse fra governo costituito e governo costi– tuito, e si metteva a ricorrere all'ONU, accendendo pra– tica (scusa il frasario burocratico) di passaggio alla condizione neutrale; il tutto era molto antisovietico e, insieme, fatuo; direi che era molto provocat~rio, oltre che assurdo, tragicamente assurdo, da cima a fondo. Avemmo, e qui l'Unione sovietica tentò di agire con grande tatto, la tUchiarazione sovietica del 30 ottobre: dichiarazione impod:.~.nte e che rimane: Nenni poteva par– larne un qualché poco, nel gran coro del disdegno uni– vérsale. La Unione Sovietica si dichiarava disposta a trat- tare per rivedere Patto di Varsavia e per sgombrare le truppe; si trattava di darle un minimo di garanzia po– litica ai confini; di stipulare lo sgombero, se non con uno stato socialista (c'era, ormai, poco da illudersi) con uno stato che desse almeno garanzia di non fare da piattaforma antisocialista e antisovietica nel cuore del– l'Europa danubiana; con un stato che, per lo intanto, incominciasse a consolidarsi, proprio, come governo. Come vedi, finora ho prescisso· dagli argomenti ideo– logici. Ma ora parlo anche di questi: stare con le braccia· conserte e, andarsene, addirittura, dall'Ungheria, era dav– vero atteggiamento «liberale»? I gazzettieri nostrani ci hanno detto di sì: io ho un certo numero di dubbi. In– fatti la mia testa è una testa socialistica, come sai, e, quando penso, penso socialista; similmente al mio vicino di casa che, quando pensa, pensa radicale o quell'altro che, quando pensa, pensa fascista, e così via. Ed i miei pensamenti socialisti mi dicono questo: -che in Ungheria si giocava la sorte di un socialismo fatto male, di un comunismo pieno di errori commessi e di crudeltà, ma che aveva cacciato via la supremazia degli agrari e del clero; e che sotto- questo punto di vista c'erano ancora in Ungheria uomini e strati sociali da identificare, una volta dissipati errori e calmati gli animi, con la causa del socialismo; e che stare con le braccia conserte ed eva– cuare truppe e lasciare quegli strati sociali in balia delle onde poteva suonar molto « liberale», sì, ai Malagodi nostrani, ma non era certo socialistico. Tuttavia la Russia nella dichiarazione del 30 ottobre si mostrava disposta ad una soluzione perfino « liberale ». Il 31 Budapest era sgombra di truppe sovietiche. · Uno e due giorni dopo avvenne il gran patratrac: Israele attacca l'Egitto, i francoinglesi si getta11.o contro l'aggredito, Eisenhower stigmatizza, Martino deplora, l'ONU interviene offrendo presidio... all'Egitto contro la Inghilterra? Mai più! Diavolo, la pace è cara a tutti! Offrendo presidio per custodire il canale e far la gestione internazionale: quello che, come programma minimo, Francia e Inghilterra volevano (il programma massimO è di cacciar via Nasser)!! Giuoco assai abile, per dav– vero, e spostamento di scacchiera importantissimo in pro degli occidentali. · E IN UNGHERIA, e la Russia? Non ha forse l'Unione Sovietica uno scacchiere da difendere? L'Unione So– vietica ha uno scacchiere da difendere: scacchiere militare e scacchiere ideologico, e se era stato fino allora penoso il dover abbandonare posizioni chiave, tanto del sociali– smo che della propria sicurezza ai confini, dopo della aggressione francoinglese diventava, semplicemente, as– surdo: e la Unione Sovietica ha reagito appcggiandosi a quelli degli Ungheresi che non volevano lo sfacelo del socialismo. Ed ha fatto non solo ciò ch'era logico, ma ciò che, dal punto di vista del socialismo, era giusto e coerente che facesse. E non ci vedo propri() nulla di « imperialistico >>. Valeva la pena, mi puoi chiedere, di .fronte a tanta tragedia di lutti? Lo dirà la storia; certo si è che chi si assume una responsabilità politica si assume la respon– sabilità morale delle conseguenze. Il PCI, la Unione Sovietica, Kadar, ecc. si sono, sì, assunti la responsabilità morale deJle proprie opzioni politiche e non potevano sfuggire alla prima come non potevano sfuggire alle seconde. Guai, tuttavia, a chi non cerca di discernere in queste ultime e semina odio feroce contro di noi e l'Unione Sovietica o ne approfitta e ci getta a mare, come hanno fatto, perfino, taluni di quelli che avrebbero il dovere di dissentire, sì, ma anche di intendere meglio gli aspetti delle cose, piuttosto· che di procacciarsi facile popolarità (!). E chiudo questa lettera con qualche riferimento al mio partito, di cui molto si parla nel vostro settimanale. •Sono un comunista in crisi? Niente affatto: sono, però un comunista critico. Dirò di più, sono un comunista preoc– cupato. Sono fermamente convinto che nel passato (al– meno fino al 1953) il partito comunista italiano ha saputo assolvere da protagonista alla sua funzione na– zionale: non solo, dico, ha camminato, ma ha cam– minato col paese e per il paese, con un raggio di in– fluenza vasto e complesso nei più diversi ceti. Ora sta per affrontare un congresso che, ci si dice, sarà molto importante e in cui si dovrebbero affrontare problemi di indirizzo e non soltanto problemi di organizzazione e di applicazione di linea. Che sarà importante, non ne du– bito: le tesi stesse proposte al congresso contengono im– portanti cose.• Però diverse cose mi fanno dubitare che t) Questa lettera è stata composta prima che fossero note le posizioni di Tito sui fatti di Ungheria (sostanzial– mente coincidenti con que1le qui espresse), e le posizioni di aùtorevoli dirigenti socialisti, a cominciare da quella, auto– revolissima, di Pertini al CC del PSI. Alla buon'ora! Qualche atteggiamento un poco più pensoso (pur nel dissenso) inco• mincia ad aifiorare anche da noi. Speriamo che ci si inco– niinci ad accorgere che, se anche ·noi abbiamo commesso errori, errori gravi, nei frangenti ungheresi, altri ci hanno preso allegramente a ~calci: per poterci seppellire meglio,

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