Nuova Repubblica - anno I - n. 24 - 20 dicembre 1953

1arcbbc un attendere vano e poco fruttuoso. Senza contare che un fia– sco del P.S.I. sarebbe in Italia il tramonto definitivo del socialismo co- NUOVA REPUBBLICA 7 ________ ...:..._ _________________ _ I PAGINE DI CULTURA CONTEMPORANEA me forla organizzata, con conseguente ingrossamento del P.C.I.; poiché, non s 1 illucla il Castorina, i voti perduti dal P.S.I. andrebbero, per la mas– sima parte, a finire là. Insomma la triste esperienza di questi anni, con la catena di errori da parte di tutti i dirigenti dei vari socialismi italiani, avrebbe dovuto insegnare qualche co- RIESAME D LMARXlS sa! Si pensi soltanto al tempo per– duto, nell'Italia Meridionale, per il socialismo italiano. L'elettorato meri– dionale ha un peso notevole e, pur– troppo, è un elettorato che non ca– pisce se non quelle correnti massicce e fortemente organizzate che gli per– mettono un rovesciamento totale del– la situazione politica: là hanno suc– cesso i vari estremismi e di sinistra e di destra (la destra fascista e mo– narchica è stata proprio il bel re– galo del ,Sud!). Purtroppo il sociali– smo, che si è presentato sbandato e diviso nelle sue varie correnti, è fal– lito in pieno, poiché solo un partito solido e con valide prospettive di successo può avere fiducia nel Meri– dione. Penso, dunque, che sia giunto il tempo per tutti i socialisti italiani di rivedere le proprie posizioni e di rimediare, se è ancora possibile, agli errori compiuti. E' tempo di riunire le sparse 1nembra di questo povero so– cialismo, se non si vorrà correre il rischio di perdere quel poco che an– cora rimane di quello spirito rinno– vatore della Resistenza che un po' tutti hanno contribuito a far crollare. Noi cavilliamo e sofistichiamo e in– tanto siamo arrivati al punto di es– sere trascinati nei Tribunali dalla tra– cotanza fascista risorta e uomini co– me Parri debbono subire l'umiliazione di essere sottoposti a confronti con uoÌnini che scontano i loro crimini nelle galere straniere e patrie; e in– tanto dobbiamo subire la gioia di gente che si rallegra, trionfante, al– l'infelice frase dell'on. l'ella « questa non è l'Italia del '45 », interpre– tata, certo in mala fede, come con– danna ufficiale e totale di quel pe– riodo. Quanti guarderanno ancora al l'.C.I., come all'unica ancora di sal– vezza! Bel risultato invero di una lot– ta condotta, purtroppo anche da mol– ti socialisti, in nome dell'anticomu– nismo! Ma io divago cd invece vorrei giungere ad una conclusione. Il Ca– storina è molto ottimista (troppo!) sulle future fortune elettorali del M.A.S. - U.S.I. Io non lo sarei al– trettanto. Prima di tutto le cifre del– l'ultima competizione elettorale han– no un valore relativo, stante la ra– gione contingente di molti voti af– fluiti ad Unità Popolare o all'U.S.I., ragione contingente in relazione al– l'infelice trovata finale del Partito di maggioranza. Ma ammettiamo• pure che, in prossime elezioni, si otten– gano gli auspicati 700 od 800.000 voti. E con ciò? Si sarebbe forse ri– solto il problema, che è quello di costituire una solida rappresentanza socialista, se non una maggioranza? O spera proprio il Castorina che in tal modo si scuotano e il l'.S.I. e il P.S.D.I.? Ma che cosa ha scosso il P.S.D.I. in questi anni? Una cosa solo ha scosso: la fiducia nel socia– lisn10 democratico. E' davvero un risultato consolante! Ci A III sarà no'altracrisiame· ricaua i ll"obbiezione, che la teoria di Marx sull'inevitabile « impoveri– mento progressivo» delle masse popolari in regime capitalista si è rive– lata il tallone d"Achille del suo sistema ' economico, i marxisti dilnno sovente una risposta che vale qui la pena di esaminare. Essi attribuiscono cioè il più che raddoppiato tenore di vita, per esempio, delle niasse britanniche dal tempo in cui Marx scriveva, allo sfrut– tamento coloniale. Se il capitalismo, di– cono, non avesse potuto sfruttare indi- 1·e11a111e11te i milioni di abitanti dell'In– dia e delle altre colonie, avrebbe sfrut– tato dire11ame111e i lavoratori britannici, e appunto, il loro impoverimento pro– gressivo. Quest"argomento !'On è del tutto campato in aria. E fuori dubbio che lo sfruttamento coloniale ha giovato ai capitalismo britannico. Ma quanta parte dell"aumento delle entrate reali delle masse britanniche può essere at– tribuita a questo fattore' Qual"è sta– ta, per !"aumento del reddito naziona– le, l'importanza relativa degli acquisti coloniali compiuti dal 1860, e dell'ac– cresciuta produttività del lavoro? Basta porre la domanda, per rispondere sen– za esitare che l'aumento della produt– tività del lavoro è stato il fattore di gran lunga più importante. Se ne può avere subito Ja dimostrazione confron– rnndo le sorti delle masse britanni– che e americane. Se il fattore princi– pale fosse stato lo sfruttamento delle colonie, le masse britanniche avrebbero dovuto evidentemente migiiorare il lo– ro tenore di vita in misura maggiore di quelle americane, dal momento che la Gran Bretagna, in sensb assoluto e ancor più in rapporto alla popolazione, aveva possedimenti coloniali assai più ampi e ricchi dell'America. (La supe– riorità rimane nettissima ancl)e se si considerano i negri americani come una specie di popolo coloniale inter– no, anziché come una parte mal paga– ta della classe lavoratrice americana). Se invece il fattore principale è stato l"aumento della produttività del la– voro, allora il miglioramento maggiore · dovrebbe essere quello delle masse ame– ricane. E così è infatti. Per tornare alla questione princi– pale: il modo migliore per valutare l'utilità pratica dello schema econo– mico marxista come guida all'azione, è quello di applicarlo a uno dei cru– ciali problemi contemporanei. Scegliamo Penso, concludendo, che oggi la via migliore sia quella di fare ogni sfor– zo possibile per tornare ad un gran– de Partito socialista unitario, che possa presentarsi all'elettorato con la piena coscienza di rappresentare tutto il socialismo italiano. Compito del M.A.S. dovrebbe essere proprio que– sto: dare l'avvio ad una sincera cd !----------------– onesta politica di unità. E poiché, og– gi come oggi, l'unità in senso asso– luto è ancora immatura, credo vali– da la soluzione federativa, proposta dal Codignola. Solo con la federazio– ne saranno possibili quei contatti e quelle discussioni che, smorzato il tono acido e polemico, saranno fecon– de di risultati. Insomma il tentativo merita di essere intrapreso, poi'ché la posta in gioco è forte: in un prossi– mo· domani potrebbe voler dire un socialismo così forte, da non poter governare senza esso. Il tentativo, proposto dal Castorina, cli una fede– razione U.S.1.-M.A.S. per le prossi– me elezioni regionali siciliane non lo consìglicrci. Infatti, mc lo permetta l'amico Castorina, conosco per espe– rienza quadriennale i suoi conter– ranei: alle prossime elezioni regio– nali l'U.S.1.-M.A.S. fallirebbe nel modo più pietoso. Non è certo la Si– cilia il terreno più adatto per simili esperienze! La cosa migliore è at– tendere e non fare passi falsi: il M.A.S. non deve avere scopi eletto– rali, ma l'unico suo compito è quello sforzo, di cui parlavo più sopra, per giungere all'unità. La Federazione, se fosse accettata dallC varie correnti socialiste, potreb– be essere anche aperta ad altre forze progressiste, non escluse quelle cor– renti di democratico•cristiani che una politica governativa sempre più orientata verso destra e verso gli isterismi nazionalistici potrebbe, in un prossimo domani, coStringere a ri– vedere le proprie posizioni e ad usci– re magari dal partito (ma, a questo punto, mi accorgo che il peccato di ottimismo è dalla mia parte ...). AGOSTl:l"O PASTORl:1"0 t e o quello che inevitabilmente risveglia !"in– teresse di tutti: se ci sarà, o meno una nuova crisi economica americana. A questa scelta aggiunge interesse il sa– pere che i russi cercano da tempo di compiere una prognosi deH'economia americana applicando appunto - ma– le, a mio modo di vedere - la teo– ria marxista. Così, potremo a.vere qual– che lume non solo su ciò che in ef– fetti è probabile che accada, ma an– che su ciò che i Russi ritengono sia _probabile che accada - che è anche esso un fattore importante della situa– zione. Se ci limitiamo semplicemente ad applicare le formule marxiste alla sce– na americana contemporanea senza cu– rarci dei fatti, quelle formule non pos– sono che trarci in inganno. Se diciamo: Marx ha dimostrato che il capitalismo deve crollare a causa delle sue con– traddizioni interne; perciò ci sarà pre– sto in America una crisi economica (ed è press·a poco quel che dicono effet– tivamente i comunisti attuali), fare– mo inevitabilmente gli stessi giganteschi errori di valutazione, quanto al pro– babile comportamento del capitalismo contemporaneo, in cui son manifesla– tamente caduti i Russi nell'ultimo de– cennio. Ma se d'altra parte ci serviamo dell ·economia marxista come della de– scrizione migliore dell'intimo indirizzo del sistema capitalistico, ricordando sempre che tale-indiràzo può però es– sere pienamente bilanciato in qualsia– si tempo e luogo detc:rminato, avre– mo forse una possibilità - ma non più di una possibilità - di giungere a una prognosi realistica. In ogni ca• so, le nostre probabilità di successo saranno molto magghri di quelle, sia dei comunisti, sia della ve~<.:hiagene– razione di economisti capitali•.tici, i quali ritengono che il sistema si equi– libri da sé. D'altro hto, gli economi sti keynesiani e post-keynesiani, pur usando concetti assolutamente diversi da quelli di Marx, e affrontando il problema da un punto di vista del tutto differente, hanno abbandonato per conto loro quest'opinione dell'autobi– Janciarsi del capitalismo. Prendiamo ad esempio l'ultimo ten– tativo di previsione del futuro anda– mento dell'economia americana, l'Ame– rica/I Capi1aliw, del prof. Galbraith. Quest'opera scritta con eleganza fa at– tualmente furore nei circoli progressivi, ma rispettabili; eppure essa giunge, per vie affatto differenti, a conclusioni non dissimili da quelle suesposte. A pri– ma vista, anzi, la teoria principale del prof. Galbraith, la teoria del Co1111/er- 11aili11g Power ( è questo il sottotitolo del libro), ossia del « potere controbi– lanciante », potrebbe esser scambiai 1 per qualcosa di identico al concetto di pressione contro-capitalistica descritto precedentemente. In realtà, il prof. Gal– braith intende qualcorn di più tecnico e più vago. Egli parla di orgJni1.,a– zioni « dal lato della domanda», - organizzazioni che egli ritiene sian di– venute abbastanza forti per tener testa agli « oligopolisti » (nella terminolo– gia di Marx, i « capitalisti di mono– polio») dal lato dell'offerta. Ma ap– pena l'autore passa all"esemplificazio ne, si scopre che le due organizzazioni .a cui egli attribuisce importanza prima– ria per il loro « potere controbilan. ciante » sono, (a) i sindac•ti per i lavoratori industriali; (b) !, disposi– zioni statali sulla parità dei prezzi per i coltivatori agricoli. Ora, i Ja. voratori industriali e i coltivatori, pre– _si insieme, sono sostauzialmente quella massa della popolazione le cui en,ra– te, secondo quanto abbiamo concluso, non aumentano con l'aumento della produttività nazionale qualoia il capi• talismo venga lasciato a se stesso. Senza dubbio, se si sono trovati mezzi vera– mente efficaci per provocare l'aumento delle entrate reali della massa della popolazione - operai e col+1vatori - parallelamente all"aumento della pro– duttività, allora il gioco è fatto. Il sistema non manifesterà più l'intima tendenza a distruggersi distruggendo ,i proPrio mercato; le masse americane saranno in grado di assorbire una parlc della produzione nazionale sufficiente a prevenire saturazioni, crisi, ricerche aggressive di mercati esteri, e tutto i' resto. (Anche in questo caso, non tut ti i problemi e le contraddizioni sa ranno state risolte). La questione è, se Je masse america ne abbiano effettivamente ottenuto lan • to. Il professor Galbraith esprime Ja. opinione che nel corso dei venti anni dei due « Deals » - New Dea/ di Roosevelt e Fair Dea/ di Truman - gli operai e coltivatori americani non solo l"hanno ottenuto, ma son dive– nuti ormai così forti che il loro « po– tere controbilanciante » può finire per squilibrare il sistema nella direzione opposta. L'autore teme che essi cerche– ranno di ottenere una quota troppo alla dtl prodotto nazionale. Insieme al– le spese difensive, ai programmi d'aiu– to ai paesi esteri, e simi)i, il peso delle loro entrate globali diventerà eccessi– vo, e il sistema mostrerà una tenden– za permanente non alla deflazione e alla crisi, ma all'inflazione. L'inflazio– ne, riducendo tutte le entrate reali ec– cetto i profitti, bloccherà la spinta del– le masse peggiorando nuovamente la distribuzione del reddito. Che cosa bisogna dire di tutto que– sto? Il prof. Galbraith afferma, in effetti, che in America la nuova e al– tamente sviluppata fase d'« integrazio– ne» raggiunta senza dubbio dal ca– pitalismo è di natura affatto differen– te da ciò che essa era, per esempio, in Germania, dove produsse il regi– me nazista. Egli afferma che l' « 011- gopolio », il « capitalismo monopoli– stico », o quello che sia ( vedi appres– so), _è un sistema diverso perché le forze sociali fo America sono diversa– mente equilibrate. Non c'è dubbio che il prof. Galbraith dà prova di reali– smo quando riconosce implicitarr.ente che tutto dipende in ultima analisi dal– la forza delle opposte pressioni, degli « oligopolisti » da un lato, e degli operai e coltivatori dall'altro. Di qui a dire che tutto dipende dall"equili– brio delle forze di classe c"è solo una differenza di parole. Ma cosa bisogna pensare della sin. golare opinione dell"autore, secondo la quale gli operai e i coltivatori ameri– cani potrebbero esercitare sull'econo– mia una pressione più forte di quel– la del capitalismo monopolistico ame– ricano? Che dire dell'idea che le loro entrate, lungi dall'essere insufficienti ad assorbire una quota del prodotto nazionale tale da mantenere in piedi !"attività industriale, diventino addi– rittura così cospicue da far salire con– tinuamente i prezzi, fino a sfociare nelle desolate regioni dell'inflazione? Dell'idea, in una parola, che il peri- colo maggiore per l'economia america– na è costituito dal rincaro dei prezzi, dall'inflazione, e non da un ripiega– mento? A questo punto il laico ingenuo, come me, ha la tentazione di tuffarsi in un mare di statistiche. E non avrà la minima difficoltà a trovare in ab– bondanza dati a sostegno di qualsiasi opinione circa la probabilità o meno di un ripiegamento. Infatti, i doti e le cifre cortesemente fornitigli dagli esper– ti saranno, strano a dirsi, tali da confermare in ogni caso previsioni stret– tamente conformi alle rispettive vedute politiche dei fornitori. Quanto più la posizione dell'economista si avvicineri a destra nello schermo politico, tanto più chiaramente i suoi dati dimostre– ranno che non c·è alcuna ragione per cui J'economia americana, se diretta accortamente, debba perdere il suo equi– librio. Quanto più invece !"autore i: a sinistra, tanto più inconfutabili ap– paiono i dati indicanti una non lon– tana è formidabile crisi. Cosa può fare il laico, se non aste– nersi dal citare statistiche, e venire' al• le proprie conclusioni? La conclusione indicata sia dalla teo– ria, sia dai dati, è a mio parere la seguente. In sede di teoria econò– mica, astratta dal complesso della real– tà storico-politica che ne è il contesto, non c'è ragione che l'economia ame– ricana, o qualsiasi altra economia in ... · dustriale che abbia raggiunto la nuova: fase capitalistica detta dagli economi– sti « oligopolio », e dai marxisti « ca~ pitalismo monopolistico di stato », deb– ba subire un'altra crisi. Il pensiero• keynesiano e post-keynesiano ha sco– perto che il clima economico di que– ste progredite società industriali, agen– do attraverso il mercato jn condizioni di concorrenza imperfetta, può essere· controllato in modo da evitare al tem– po stesso gravi fluttuazioni e un ri– stagno permanente. Misure sul tipo di quelle del « New Dea! » potrebbero• in teoria mantenere indefinitamente ii potere d"acquisto della popolazione al livello necessario per assorbire l'offer– ta di beni e servizi di consumo dCi mercato. Naturalmente, anche con la miglior buona volontà del mondo, la cosa: non sarebbe facile. Nell'America con– temporanea, ad esempio, non solo le– spese difensive poss9no raggiungere Cl• fre di diecine di miliardi di dollari, ma gli investimenti privati normali so-– no passati da un miliardo di dollari nel 1932 a 45 miliardi nel 1948. Ciononostante, in un'economia come quella americana, che non ha virtual– mente complicazioni economiche este~ re, e in particolare nessun problema di bilancia dei pagamenti che ingarbu– gli la situazione, io sono convinto che, sempre in sede di teoria econo– mica, il modo di assicurare Ja stabi. lità economica sia stato trovato. La cosa, adesso, si J111ò fare. Ma si von·à farla? Perché il fatto è che tutte le vie per arrivarci, tran– ne una (e piuttosto che quest'una me– glio niente), cozzano contro tutti gli istituti e i principi dei circoli dirigenti d"America o di qualsiasi altra oligar– chia capitalistica. La nostra risposta, pertanto, dovremo cercarla in mezzo ai fattori sociologici, politici e storici: cessando di astrarre l'elemento econo– mico dal resto del quadro. JOH:1" STRA~HJ.:l'

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