Giacomo Matteotti, il socialista nuovo, che aveva tutte le virtù ma non le manchevolezze dei suoi compagni anche più grandi e più celebri della destra socialista, intuì subito la natura del fascismo, non condividendo nè il giudizio astratto dei comunisti e dei massimalisti residui, che scorgevano in esso l'estremo sussulto del capitalismo agonizzante, nè il giudizio superficiale di quei socialisti e di quei democratici che lo ritenevano un passeggero fenomeno di intossicazione bellica, illudendosi prima di batterlo con mere misure di polizia, poi di ammansirlo scendendo a compromessi. Giacomo Matteotti, di provenienza provinciale (era nato a Fratta Polesine il 22 maggio 1885), portò nella lotta politica, oltre a un temperamento ricco e fermo, un elemento raro in quei momenti: una seria preparazione, specialmente nelle discipline giuridiche ed economiche. Egli respingeva il fatalismo della vecchia scuola massimalista e riformista derivato dal positivismo, secondo il quale il socialismo è un portato fatale, ineluttabile dello sviluppo della economia capitalistica. Per Matteotti il socialismo è un portato della operosità volontaria e cosciente della classe lavoratrice. Quando operosità e coscienza manchino, il socialismo è irrealizzabile. Da ciò la concretezza del suo pensiero e della sua azione, la sua opera educatrice senza compromessi con la demagogia; la sua passione per i problemi concreti e il costante incitamento a indirizzare la lotta di classe verso la soluzione di questi problemi; e infine il suo spirito di decisione, la sua risolutezza, il suo indomito coraggio: quel coraggio socialista, come lo definiva Jaurès, che consiste « nel dominare i propri errori, nel soffrirne, ma nel non lasciarsene abbattere e nel continuare per la propria strada; nell'amare la vita e nel guardare la morte con sguardo tranquillo; nell'andare verso l'ideale comprendendo il reale; nell'agire e nel darsi alle grandi cause senza sapere quale ricompensa 50
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