Perchè quest'uomo che fu e rimane la migliore espressione del riformismo italiano, quest'uomo che non ha ancora trovato giustizià piena per la sua opera titanica, oltre le facili agiografie comiziali e gli accaparramenti elettorali anche da parte di coloro che da vivo più lo avversarono, allora si travagliava in una crisi profonda, alla ricerca di un « ubi consistam », di un senso effettivo da dare alla vita. Giovane, uscito da quella generazione che ebbe a maestro il Carducci, Turati non resistette alle lusinghe della poesia pura, in quel periodo tra il romantico e lo scapigliato, anche se parallele all'indagine positivistica. Come poeta in versi (raccolti nel 1883 in un raro volumetto di Strofe), Filippo non è certo diverso da molti altri del tempo suo; come sociologo, autore di un saggio sul Delitto e la questione sociale, Turati non si allontana molto dai corifei dell'evoluzionismo e del positivismo alla Ardigò. Ma qui trovò, com'ei disse, più di una pietra per l'edificio del suo pensiero dopo il distacco dalla fede tradizionale e dall'ordinato mondo borghese in cui era nato e cresciuto. Figlio unico d'un funzionario di prefettura e d'una gentildonna lombarda, Turati, non troppo premuto dalle necessità pratiche della carriera, se non avesse trovato il conforto della battaglia socialista avrebbe forse potuto andare alla deriva nelle acque stagne della inferiore poesia. Ma vi era anche nel suo spirito un diverso senso di insoddisfazione per le condizioni sociali del tempo, un bisogno di rinnovamento non solo personale ed estetico, quello forse che, sotto la dolce suggestione della giovane russa, lo condusse alle prode concrete della ricerca sociologica e dell'azione civile. Quando, nel 1891, una rivista letteraria d'allora, Citore e critica, si trasformò, sotto la direzione di Turati e l'ispirazione della Kuliscioff, in Critica sociale, il passaggio al socialismo scientifico 31
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