Gaetano Salvemini - Scritti vari (1900-1957)

Maestri e compagni senza Kultur, ma mit uns certe barbarie non erano possibili. Ospitò fraternamente gli italiani che evadevano dall'Italia. Quando dové anche lui evadere dall'Austria, e si rifugiò negli Stati· Uniti, fu felice di trovare in noi viva la riconoscenza per la bontà che egli aveva avuto per i nostri in quel tempo che era stato felice per lui ed era diventato infelice per noi. A New York viveva poveramente in un quartierino quasi senza mobili, con una sorella e un fratello, anch'essi invalidi. Quando due nostri amici andarono a visitarlo, un mese prima che morisse, recitò in italiano perfetto quei versi del Guglielmo Tel1 di Schiller che dànno il giuram.ento del Riitli. Ricordò che sono perpetuati anche in una iscrizione italiana a Bellinzona, e si compiacque di ricordare che li aveva recitati in italiano, nel Parlamento di Vienna, in difesa della civiltà italiana e dei socialisti italiani in Austria: "Il giuramento del Riitli," disse, "deve diventare il giuramento di tutta la umanità." Ricordando Antonio De Viti De Marco1 Due uomini mi dolgo sempre di non aver conosciuto dieci anni pnma: Antonio De Viti De Marco e Giustino Fortunato. Il mio pensiero avrebbe avuto dieci anni di piu per affinarsi, rafforz:irsi e arricchirsi - dato che ne fosse stato capace. Mi incontrai con De Viti per la prima volta nel 1904. Era uomo dall' apparenza fredda, di poche parole, che vi teneva piuttosto a distanza. Il suo spirito era un vulcano sotto il ghiaccio; un cavallo di razza tenuto a freno da una mano fortissima. Ci rivedemmo a intervalli negli anni successivi, .finché a poco a poco il ghiaccio si sciolse. Quando io dicevo qualcosa che stava forse in cielo ma non in terra, lui mi guardava calmo con un sorriso negli occhi, mi faceva segno con la mano di fermarmi, e mi proponeva una, due, tre domande. Alla terza domanda, e qualche volta anche prima, ero io che mi mettevo a fare domande a lui. E lui a sorridere: "Questa domanda me l'aspettavo. Lei ha seguito il .filo del mio pensiero." E mi dava la risposta. La coltura è quello che rimane in noi dopo che abbiamo dimenticato tutto quello che avevamo imparato. Molto io imparai· da De Viti, caso per caso, di cui non mi ricordo piu. Ma qualcosa è rimasto di lui indelebile in me: il metodo di pensare. Imparai da lui a ragionare meglio. Quando si trovava con persone, da cui si sentiva compreso, si abban1 Da "Controcorrente," dicembre 1949, p. 2, a firma "Gaetano Salvemini." Datato: Cambridge (Mass.) 1° settembre 1948. [N.d.C.] 90 BiblotecaGino Bianco

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