Gaetano Salvemini - Scritti vari (1900-1957)

' Il collegio uninominale renza fra gli imbroglioni di molti partiti, che il monopolio di un solo imbroglione, il ministro dell'Interno. Quando in Italia non c'erano partiti saldamente organizzati, mancava la partitocrazia, ma c'era la prefettocrazia. Al tempo di Mussolini c'era la partitocrazia di un solo partito. Oggi ci sono le partitocrazie di almeno sette partiti, grandi e piccini, in concorrenza gli uni con gli altri. Ecco tutto. Sette partitocrazie in concorrenza sono preferibili al monopolio di una. Il collegio uninominale non cambierebbe le cose in meglio. Forse le cambierebbe in peggio. Il collegio uninominale, oggi, in Italia ridurrebbe la competizione elettorale alle due sole formazioni che possono mobilitare i grossi numeri: da una parte i democristiani ed i loro servi, e dall'altra i comunisti ed i loro compagni di viaggio. Tutti i gruppi minori (missini, monarchici in servizio attivo, liberali, repubblicani, socialdemocratici) sarebbero messi fuori combattimento; in ben pochi collegi uninominali (anche se si mettessero tutti d'accordo: ipotesi assurda), potrebbero raccapezzare quel tanto di suffragi che terrebbe testa tanto ai voti dei democristiani quanto a quelli dei comunisti. Ci fu nell'estate del 1952 un momento in cui il direttorio della Democrazia cristiana accennò a voler tornare al collegio uninominale. La democrazia cristiana, cioè, avrebbe abbandonato alcune decine di collegi uninominali qua e là ai suoi parenti poveri, mentre questi avrebbero votato per la Democrazia cristiana in tutti gli altri collegi. Il calcolo era che col collegio uninominale la Democrazia cristiana avrebbe conquistato 400 dei 590 deputati destinati a formare la Camera del 1953 (Il Popolo, 14 agosto 1952). Trincerata dietro quei 400 mandati essa avrebbe potuto largire la sua benevolenza o ai missini, o ai monarchici in servizio attivo, o ai tre partiti "laici," o a qualcuno di essi con esclusione degli altri, secondo le convenienze del momento o la riluttanza all'obbedienza degli uni o degli altri. Ai partiti "laici" non sarebbe rimasto piu che l'ufficio di pezze da piedi per la Democrazia cristiana. È difficile sapere quanti fra i deputati "laici" erano nel 1952 disposti a passare sotto quelle forche caudine. Ma è sicuro che una vasta ribellione sarebbe stata inevitabile nelle loro "plebi." La crisi avvenuta nel Partito repubblicano per le elezioni amministrative romane del 1952 avrebbe avuto chi sa quante repliche, in chi sa quanti collegi uninominali, ad onta di tutte le intese fra i capoccioni di Roma. Eppoi che garanzie dava la Democrazia cristiana che, conquistati i suoi 400 collegi uninominali, sarebbe rimasta fedele ai partiti "laici" invece di convolare a nuove nozze coi missini e coi monarchici in servizio attivo? Chi sarebbe rimasto cornuto, battuto e cacciato di casa? Il trattamento largito ai comunisti nel 1947 dopo che avevano votato il concordato, non poteva essere tanto facilmente dimenticato. Ecco perché l'idea del ritorno al collegio uninominale fu respinta immediatamente da tutti i partiti "laic~." 869 Biblotèca Gino Bianco

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