Italia scombinata mava quel premio si deve considerare venuta meno, la coalizione premiata dagli elettori si scioglie, e devono succedere nuove elezioni. Questa situazione si ottiene mantenendo il premio di maggioranza in limiti tali che la concordia degli apparentati sia necessaria per governare, come fu necessaria per conquistare il Governo. Nel caso dell'Italia d'oggi, un modesto premio di maggioranza in 50 o 60 su 590 mandati - cioè su per giu il 10 per cento - avrebbe fornito un margine di sicurezza sufficiente. Invece un premio di 80 mandati non solo dava un eccessivo margine di sicurezza alla coalizione che lo conquistava, ma dava al partito piu forte della coalizione, cioè alla Democrazia cristiana, un numero cosf prepotente di mandati da consentirle di mettere alla porta dalla coalizione subito dopo le elezioni uno o due o tutti i parenti poveri, e magari imbarcare con sé nuovi associati dopo essersi battuta contro di essi fino al giorno prima. Nel primo decennio di questo secolo, l'Italia faceva le elezioni a collegio uninominale. Quello fu un tempo a cui ritorneremmo volentieri, dopo le esperienze del quarantennio successivo. Le elezioni fatte nel 1919, non piu a collegio uninominale, ma a rappresentanza proporzionale, dettero 157 mandati al Partito socialista e 101 al neonato Partito popolare; viceversa, i deputati che si chiamavano liberali o democratici, che una volta erano i padroni del vapore, scesero da 440 a 250. E questi erano divisi in due tronconi, che non riuscivano a combinarsi: una destra salandriana a tendenza conservatrice-nazionalista e una sinistra, a tendenze sf e no democratiche, ma mezzo nittiana e mezzo giolittiana, concordi le due metà solamente nel non volerne sapere a nessun patto di Salandra. Quindi, paralisi parlamentare. Rappresentanza proporzionale, dunque, causa; débacle dei salandriani, nittiani e giolittiani, e paralisi parlamentare, effetto. Ritorniamo, dunque, al collegio uninominale. Questo modo di ragionare mi ricorda che, quando nel liceo ci facevano modestamente studiare le regole del buon ragionare e le fallacie dello sragionare, e non ci imbottivano i crani con gli abracadabra di una .filosofia idealista incomprensibile, noi imparammo che non si deve mai risolvere un problema di causalità col dire senz'altro: "Post hoc ergo propter h " "S' h h " "C h oc ; oppure me oc, ergo propter oc ; oppure um oc, ergo propter hoc." Nel caso presente, è metodo difettoso dire che le cose vanno male perché viviamo dopo che è stato abolito il collegio uninominale, o perché siamo con la rappresentanza proporzionale. Il male che lamentiamo, può derivare da altre cause; ed abolendo quella che crediamo la causa, possiamo non abolire l'effetto; e, anche se il male è prodotto precisamente dalla causa che aboliamo, può darsi che abolendo quella, produciamo qualche nuovo male peggiore dell'antico. Ai tempi del collegio uninominale, la Camera era frazionata in gruppi e gruppetti senza capo e s~nza coda: era una specie di porto· di mare, nel quale ognuno andava dove voleva. Un deputato meridionale diceva che in quella Camera bisognava sedere al centro, perché dal centro uno poteva 866 BiblotecaGino Bianco
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