Gaetano Salvemini - Scritti vari (1900-1957)

Una pagina di storia antica del tutto stupida, data negli orali. Uno dei tre esaminatori mi domandò quale fosse "il nocciolo della leggenda di Enea." Rimasi trasecolato. Che cosa poteva mai essere il nocciolo di una leggenda? Con un mezzo singhiozzo nella gola - ché mi sentivo perduto - dissi che non capivo la domanda. "Se vuole che le faccia un sunto dell'Eneide lo faccio; se vuole che traduca l'Eneide ad apertura di libro, credo che me la caverei. Ma al mio paese nessuno mi ha mai insegnato che le leggende hanno i noccioli." Uno dei tre esaminatori sorrise. Mi congedarono, e mi assegnarono sessanta lire al mese. Senza quelle sessanta lire, avrei dovuto tornarmene al "mio paese," primo maschio fra nove fratelli e sorelle, a diventar prete - ché questo era nell'Italia meridionale di allora il destino dei ragazzi non analfabeti e non stupidi delle famiglie povere. Questa scuola salvò me da quel destino - e risparmiò anche, credo, al vescovo del "mio paese" qualche guaio. Chi in vita sua ha avuto sempre il pane sicuro, fa presto a dire che non di solo pane vive l'uomo. Questo è vero, ma senza pane non si vive. Il pane dello stomaco non è niente, se nella testa non c'è nulla che trasformi quella forza motrice. Ma quella forza motrice è indispensabile. Sessanta lire al mese, ridotte a cinquantasei dalla ricchezza mobile, non bastavano a sbarcare il lunario neanche allora. 11 solo pasto della sera divorava una lira, o meglio ero io che divoravo lui. Andavamo ad attutire l'appetito in via dei Servi, in una trattoria che portava il nome fatidico di Napoleone. Ma noi in omaggio alla fabbricante di veleni contemporanea a Claudio e immortalata da Tacito, la chiamavamo Locusta. Ho voluto dopo tanti anni fare un sopralluogo. La trattoria col suo nome eroico sta sempre H, cosf come sono rimaste sempre al loro. posto in Bologna la farmacia della Pigna che risale al Dugento, e in Siena la Consuma dove la brigata spendereccia andava a disperdere la vigna. Da Napo leone, oggi un "pranzo fisso" costa quattrocento lire. La vita è rincarata. In un eccesso di nostalgia per il mio famelico passato sono stato tentato di provare ancora una volta, ma a settantasei anru lo stomaco ha meno coraggio che a diciassette. Ai libri provvedevano la biblioteca dell'Istituto, la Nazionale e la Marucelliana. Quest'ultima badava d'inverno anche al riscaldamento la sera fino alle dieci, dopo di che correvamo a ripararci in letto, e dalla bocca e dalle nari si levavano colonne di vapore acqueo che era un piacere vederle. Ma in quelle 56 lire la prima e la seconda colazione, e la stanza, e la lavandaia e la carta da scrivere e il giornale non ci entravano. Venne in aiuto una ripetizione privata: sei ore la settimana, e venticinque lire al mese, per insegnare a un ragazzo come risolvere gli indovinelli latini. Il bilancio fu in pareggio. Alla fine del primo anno, le 56 lire mensili, per voto unanime della facoltà, furono portate a 90, cioè 84 lire per via della ricchezza mobile. Il bilancio poteva ora essere pareggiato anche senza lezioni private. Queste 45 'bloteca Gino Bianco

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