Gaetano Salvemini - Scritti vari (1900-1957)

Fra storia ~ politica avuto nulla da vedere con la politica di Leone XIII e fu chiamato da Pio X a venire alla luce. La preparazione diplomatica per la conquista della Libia non risale al 1902, ma al 1887, quando Robilant, rinnovando la Triplice, ottenne dal Governo di Berlino l'impegno di appoggiare l'Italia anche con la guerra contro la Francia, se questa avesse tentato di estendersi verso la Tripolitania. A questo primo passo, succedé nel 1900 il protocollo con cui Visconti-Venosta, a nome dell'Italia, lasciò mano libera alla Francia nel Marocco, e la Francia lasciò mano libera all'Italia in Tripolitania e Cirenaica. Nel 1902 vi furono di nuovo, in questo campo, solamente gli impegni presi dai Governi di Londra, Berlino e Vienna di lasciare mano libera all' Italia verso la Libia, nel caso che fosse venuto meno Io· statu quo nell'Africa del nord. Nel 1909 il Governo russo promise di prendere in amichevole considerazione gli interessi italiani in Libia. Cosf la preparazione diplomatica, iniziata nel 1887, fu completa. La storiella che il Governo tedesco nel 1911 si preparasse ad andare in Libia, se non vi andava l'Italia (p. 32), fu messa in circolazione allora in Italia dai nazionalisti, ma, per quanto io sappia, nessuno ha mai fatto conoscere una sola testimonianza attendibile per documentarla. L' Artieri vuole spiegare perché Vittorio Emanuele III non ebbe amicizie verso nessuno fra i suoi primi ministri: né Giolitti, né Orlando, né Mussolini. E a questo scopo ci fa leggere due brevi scritti di Vittorio Emanuele, che mettono in luce singolare la sua personalità. Uno dei due scritti dice: In Russia, il pnnc1pe Dolgorukij, essendo colonnello della Guardia Imperiale, avendo ucciso in duello un altro ufficiale, fu retrocesso a sergente. Lo mandarono nel Caucaso, e si. distinse alla presa di Schamyl, talmente, che lo rinominarono colonnello. Fu addetto al comando del reggimento, di cui era stato sergente; ma con grande stupore dovette osservare che tutti i sergenti di quel suo reggimento chiedevano di essere trasferiti. È che egli da sergente sapeva troppo le magagne commesse dai sottufficiali. Si trovava in condizioni specialissime per conoscere colpe che altrimenti avrebbe ignorate. Dovette promettere di dimenticare quello che sapeva, e gli ci volle del bello e del buono per rassicurare i suoi dipendenti (p. 18). Nell'altro scritto Vittorio Emanuele, nel 1923, descrive l'impressione che l'ambiente di corte, di regola, faceva sugli uomini politici, che visitavano "il Personaggio," cioè il. re: Il vasto palazzo, quei lacchè scarlatti e gallonati, quelle scalee maestose, quei tappeti profondi, quelle grandi piante, quei saloni tutti pitture, arazzi, specchi e lumi e quell'aria ambiente di silenzio di serenità di maestà. Non appena si è alla presenza del Personaggio, la preoccupazione di mostrarsi all'altezza del momento, l'ansia di dire tutto nel tempo ristretto e l'intima disposizione di trovare nelle parole del grande uomo un senso meraviglioso e nascosto, il desiderio di compiacerlo esagerando quello che egli dice, tolgono all'interlocutore parte del senso accennato, amplificando. Non appena detta una cosa spiritosa, l'interlocutore ride troppo; non appena accenna una notizia triste l'interlocutore mostra un dolore infinito. I due non si svelano come sono; quello che è sopra, preoccupato di non dire di piu di un certo punto, quello di sotto spinto ad 246 Bibloteca Gino Bianco

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