Gaetano Salvemini - Scritti sulla scuola

La riforma della scuola media equilibrio e si resero conto che gli eccessi dei filosofi, lungi dal giustificare la fine della filosofia, erano la prova piu evidente del bisogno indistruttibile che ha lo spirito umano di "conchiudere" in qualche modo, sia pure con ipotesi provvisorie, sui grandi problemi della vita cosmica e morale. I piu videro nel positivismo, non uno sforzo felice per perfezionare i metodi e impedire gli sviamenti della speculazione filoso.fica, ma la negazione sistematica, recisa, di ogni speculazione filosofica. Messo al bando da tutti gli scienziati che si rispettavano "il soggettivismo" delle "idee generali," la storia della letteratura divenne catalogo di nomi, di date, di biografie, di riassunti di opere; giudicata indizio di leggerezza intellettuale ogni velleità di valutazione estetica, lo studio degli autori non fu piu che commento erudito, filologico, grammaticale: fu moda deridere il De Sanctis ed esaltare il solo Tiraboschi. Dannato a priori come avventato e arbitrario ogni tentativo di ricostruzione sintetica dei fatti passati, la storia si ridusse alla ricerca, alla critica, alla recensione dei testi, tutt'al piu all'esame di piccole questioncelle di fatto accuratamente isolate le une dalle altre; finanche la filosofia si rattrapp1 in misere dissertazioncelle di psicologia piu o meno pseudo-sperimentate, di logica terraterra, o di compilazione sociologica. Lo specialismo, l'analisi, l'erudizione furono i nuovi sovrani del pensiero. I fatti, i soli fatti, senza .nessun fardello di fantasticherie soggettive, dovevano essere esclusivo oggetto della scienza e dell'insegnamento; filosofo diventò sinonimo di chiacchierone e fannullone; fu sistema il non aver sistema. E a spinger le cose per questa via contribuiva, non solo l'interesse personale degli studiosi - perché chi non dice mai nulla non corre nessun pericolo di dire spropositi, e, quando la scienza si riduce a meccanica raccolta di fatti bruti, ogni sgobbone ambizioso e tenace faticando ostinatamente a raccattare e pubblicar fatti si tiene sicuro di entrare nel novero dei grandi scienziati -; ma concorreva anche l'interesse sociale e politico delle classi dominanti, alle quali le ebbrezze filosoficoumanitarie del secolo XVIII, seguite dallo scoppio della grande Rivoluzione, e le audacie metafisiche della prima metà del secolo XIX, commentate dalle improvvide iniziative del '48, avevano troppo bene insegnato che le "idee generali" sono un prodotto esplosivo assai pericoloso, e chi ci trova gusto sa come comincia, non sa dove andrà a finire. Non tutto in questo zelo di specializzazione e di erudizione è stato male. No davvero. Un bene è stato - diremo col Gentile - perché l'unità, l'integrità delle forze spirituali non deve certo conservarsi a danno della serietà, della profondità e progressività del lavoro scientifico. Di uomini interi, ma vuoti, superficiali, retori, dilettanti, volgarmente versatili, non si giova né la scienza, né la vita. E il dilettantismo, la rettorica e simili vizi erano fino a quasi mezzo secolo addietro il cancro della cultura italiana. Onde intorno e dopo il 1860, quando si ricostituirono tante nostre università, quel venire in onore i metodi esatti, minuti, positivi, da applicarsi in indagini speciali e molto ristrette; da metter capo a monografie, a piccole monografie, e costringere gli studiosi a chiudersi ciascuno in un campo molto angusto per tutta la sua vita scientifica, quella' 291 BibliotecaGino Bianco

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