Gaetano Salvemini - Scritti sulla scuola

Problemi di riforma sèolastica gli specialisti si possono accettare. Ed ecco scoppiare intorno a ciascuna scuola una battaglia accanita fra le materie d'insegnamento ammesse e le materie escluse. E per un gruppo di stud1 che, protetto da specialisti a ragione o a torto influenti, riesce finalmente a sfondare le porte della scuola e ad assidersi trionfante al concilio degli studi divinizzati, ne restano sempre mille fuori della scuola a protestare e a far ressa per entrare anch'essi nella cultura, cioè nella enciclopedia propinata all'uomo e al cittadino. Fra le materie ammesse, poi, l'una cerca di sopraffar l'altra e di strappar per sé piu larghi orari; né la fame di ore sarà mai estinta, perché, dato nel maestro l'obbligo di preparar l'alunno alla vita insegnandogli "tutto, 11 il maestro non troverà mai il tempo sufficiente a msegnare quel tutto. La scuola - ha scritto il Gabelli - dovrebbe consistere in un continuo e svariato esercizio di osservare, di parlare, di scrivere, di conteggiare a memoria, di misurare, di disegnare, in cui l'alunno traesse quanto piu è possibile dall'esperienza propria e dalla propria riflessione; o, se meglio piace, una specie di officina, dove gli scolari lavorassero, ora collettivamente, ora ciascuno per sé, a modo di operai, sotto la vigilanza e la guida del loro capo. In altri termini, dovrebbero essi fare, essi andare innanzi con l'attività del loro spirito, secondo un primo avviamento dato loro dal maestro, il quale tenesse loro dietro consigliando e correggendo. E descrive il maestro vero, che non 1mp1ega il suo tempo nel far lezioni continuate, ma spiegata e ripetuta una cosa, andando sempre molto adagio e pacatamente, si volge ad assicurarsi se gli alunni l'abbiano appresa, chiamando tre o quttro a ripeterla e insistendo fino a che non sia sicuro che l'hanno in mente abbastanza chiara. Né questo è tutto. Ogni mattina il soggetto da cui si comincia è il riepilogo di ciò che fu spiegato il di avanti. Né poi la ripetizione si fa lasciando parlare a lungo, tormentando con domande inutili un alunno che non sa rispondere, con perdita di tempo e noia di tutti. Al contrario, essa è breve e succosa, fatta per domande concise che richiedono una netta risposta, e si rivolgono una a un alunno, un'altra a un altro, ciò che li obbliga tutti a stare sull'avviso. Invece da noi il maestro moltissime volte predica fino a perdere il fiato e gli alunni se ne stanno, quando le cose vanno bene, passivi ad ascoltare. O piuttosto, appunto quando fe cose vanno bene, c'è l'apparenza che ascoltino, perché i piu, mentre egli si affanna a predicare, si sviano col pensiero dietro ai casi loro propri, chi a un rabbuffo ch'ebbe da sua madre, chi alla colazione che l'aspetta a casa, chi a un teatrino che sta costruendosi con alcuni compagni, e in ultimo, se ne togli tre o quattro, quando il maestro ha finito, nessuno o quasi sa che cosa egli abbia detto. . Il maestro fa una specie di soliloquio da una parte, e intanto gli alunni sonnecchiano o fantasticano liberamente dall'altra, mancando fra l'uno e gli altri quella continua corrispondenza di pensiero e quella fervida associazione di operosità, senza la quale l'insegnamento non si trasforma in nutrimento vitale della mente e dell'animo. 4 4 L'istruzione in Italia, Bologna, Zanicnelli, 1903, pp. 373 sgg. 286 BibliotecaGino Bianco

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