Gaetano Salvemini - Movimento socialista e questione meridionale

Movimento socialista e questione meridionale ventu la verità, spiegandole che cammina su falsa strada, senza passar– gliene una sola; 2) non partecipare a nessuna "apertura" né verso il par– tito comunista, né verso alcun compagno di viaggio o idiota utile del comunismo; 3) non fare nulla che possa favorire una vittoria elettorale comunista, precipitando quella crisi, in fondo alla quale non si troverebbe che la fine dell'Italia; ma 4) non associarsi a nessun gruppo politico, il quale, col pretesto della lotta contro il comunismo abbia venduto l'anima al clericalismo fascista monarchico; 5) tenersi sempre su quel terreno del socialismo gradualista, ma energico a volere quel che deve volere, che è il solo su cui possono ritrovarsi coloro, che vogliono liberarsi dalle pa– stoie comuniste; 6) pur marciando sempre divisi dai comunisti, resistere ad ogni tentativo che altri faccia per mettere fuori legge il partito comu– nista, cioè per impedire ogni evoluzione della migliore gioventu comunista verso una politica di buon senso; e 7) prendere colpi e da destra e da sinistra, ma non cedere mai né a destra né a sinistra. Se qualcuno di quei giovani o di quelle ragazze, ·nel cui ritorno al disprezzato socialismo umanitario ~ gradualista, io metto ogni speranza, leggerà questi scritti, io vorrei si rendesse conto che, se il federalismo assoluto del 1898-1902 ha dato luogo, negli scritti del 1945 e 1946, ad un federalismo rettificato, ciò è avvenuto in base alle esperienze fatte nel– l'Italia meridionale fino al 1922, e fuori d'It.alia nel trentennio successivo. Neanche negli Stati Uniti, che Cattaneo tenne a modello, la flotta e l'eser– cito sono divisi fra i quarantotto stati della Federazione, o in Inghilterra fra le regioni (che H sono chiamate "nazioni") col reclutamento regionale. In un paese come l'Italia, non conviene rinunziare a quel tanto di edu– cazione politica che si può ottenere in un esercito a reclutamento nazio– nale - finché un esercito deve esserci, e pare che passerà molto tempo prima che ne possiamo fare a meno, in Italia come altrove. Venendo all'amministrazione civile, la soppressione dei prefetti fu pro– posta da Luigi Einaudi nel 1944, tenendo sott'occhio l'Inghilterra, la Sviz– zera e gli Stati Uniti, nella cui fauna politica l'animale prefetto è scono– sciuto. (Lo scritto si può leggere nella raccolta recentemente cura!a da Ernesto Rossi: Luigi Einaudi, Il buon governo, Laterza, Bari 1954, pp. 51 sgg.) L'idea di Einaudi era anche mia mezzo secolo fa. Ma in mezzo secolo un uomo non vive solamente: impara anche. L'idea di abolire sen– z'altro i prefetti sarebbe applicabile oggi, nella stessa Italia settentrionale e centrale? Si potrebbe qui fare del tutto a meno di un funzionario desi– gnato dal Governo centrale per dirigere la polizia e mantenere l'ordine? Sostituiremo ai carabinieri le guardie municipali? Creeremo milizie pro– vinciali o regionali? E, quando una provincia o regione andasse soggetta a seri turbamenti o ne fosse minacciata, chi mobiliterebbe le forze di polizia e anche l'esercito, se non ci fosse a darne l'ordine un funzionario 688 BibliotecaGino Bianco

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