Per il rinnovamento del paese e per una nuova classe dirigente comunanza di ideali o di azione immediata. L'altro è il nazionalismo dei cosf detti dissidenti, mescolanza difficilmente analizzabile di elementi eterogenei, staccatisi dalla organizzazione nazionalista ufficiale per motivi svariatissimi. Quali che sieno le singole opinioni di politica estera e di politica interna di questi nazionalisti piu o meno irregolari, esiste sempre in tutti uno stato d'animo fondamentale comune, che li caratterizza e li classifica come consanguinei degli imperialisti, e quindi come avversari nostri: una visione megalomane delle capacità attuali dell'Italia, un eretismo sciovinista che li ha spinti ieri ad aderire senza controllo alla infatuazione tripolina e li spin• gerà domani a fare altrettanto di fronte a qualunque altra analoga impresa, una tendenza a considerare sempre come insufficienti le spese militari per quanto aumentate, la facilità e quasi la voluttà di sacrificare alle necessità di queste spese, non mai enormi abbastanza, tutte le altre necessità della nostra vita nazionale. A me è avvenuto spesso di trovarmi a discutere amichevolmente con qualche nazionalista dissidente, di quei che possono far venire davvero la voglia di parlare di un "nazionalismo nostro." Ci troviamo d'accordo su un discreto numero di questioni. Siamo sul punto di precipitarci l'uno nelle braccia dell'altro. Ma ... c'è sempre qualcosa che stride. E questo qualcosa è... tutto. Lui è un veggente della " Grande Italia, " che forse sarà una realtà domani ma che egli vede presente e operante già oggi; io sono un citta• dino della "Piccola Italia," dell'Italia d'oggi, che comincia appena ora a sollevarsi faticosamente dalla miseria intellettuale e morale ed economica di molti secoli. Per lui i quindici anni, che vanno dal 1896 al r9II, sono stati gli "anni della viltà"; per me sono stati gli "anni della iniziata restaurazione" economica del nostr9 paese. Per lui l'impresa di Tripoli, con tutte le sue mistificazioni e i suoi errori, è l'inizio di un'era di radiosa grandezza per l'Italia; per me l'impresa di Tripoli, con tutti i suoi vantaggi particolari innegabili, rappresenta nell'insieme una dannosissima scossa data alla fibra del nostro paese, scossa che il progresso conseguito negli " anni della viltà " ci ha permesso di sopportare senza vere e proprie rovine, ma di cui sarebbe bene evitare un troppo sollecito bis, se non vogliamo davvero andar a finire a casa del diavolo. Tutto questo non ci deve impedire eventualmente di accordarci con qualche gruppo, anche di nazionalisti, per qualche campagna immediata comune. Non vedo, per esempio, perché i nazionalisti liberisti non possano trovarsi con noi in una lega antiprotezionista, senz'altri impegni reciproci se non quelli derivanti dalle opportunità dell'opera concreta immediata comune. Ma qualunque accordo per il raggiungimento di fini determinati comuni né potrebbe fare di noi dei nazionalisti ... senza aggettivi, né giustificherebbe quel nazionalista, che rimanendo nazionalista autentico aderisse a quella certa cosa, che tu chiami il " nazionalismo nostro. " BibliotecaGinoBianco .
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==