Parlamento, governo ed elezioni meridionali nell'Italia giolitttana Dinanzi a queste abbiette sudicerie, a me non rimaneva che ritirarmi. E auguro che anche il sig. Meschiari, nelle stesse condizioni, sentirebbe il dovere di ritirarsi. Della elezione di Albano io mi sono sforzato sempre di parlare il meno possibile. Del mi0 silenzio vedo che alcuno abusa. Ne abusano sopratutto i repubblicani, i ·quali da una inchiesta su quei fatti uscirebbero assolutamente distrutti. Ma se ho lasciato senza protesta che la moltitudine ingenua degli elettori di Albano mi accusasse, perché la moltitudine ignora i fatti e non è responsabile molte volte di quello che grida, non posso consentire a chi moltitudine non è, di capovolgere la verità e di elevarsi ad accusatore, sfruttando la generosità ed il silenzio, di chi potrebbe, quando lo volesse, essere, lui, accusatore spietato. G. SALVEMINI Questa lettera fu riprodotta dalla Ragione del 31 ottobre 1910 col titolo: "Un caso di pazzia? " e col seguente commento: Troppo tardi ci è giunto questo fonogramma perché ci sia possibile commentarlo come merita. A Gaetano Salvemini deve aver dato certamente di volta il cervello. Tanto grave è ciò che egli afferma, che dovrà renderne conto esatto agli amici del collegio di Albano, i quali sapranno tutelare la loro dignità. Noi intanto per essi respingiamo le accuse contro le quali - tanto sono false - furono i primi a levarsi l'on. Podrecca ( ?) e i socialisti di Roma (?), i quali considerarono la fuga di Salvemini all'ultima ora come un tradimento. Non è da oggi che Salvemini denigra i repubblicani su vari periodici - ma questa lettera è il colmo. Egli dovrà documentare le accuse o essere considerato come un volgare, volgarissimo diffamatore. Risposi immediatamente: Pisa, 3r ottobre Sig. direttore della Ragione, sono pronto a fare pubblicamente il nome di colui che preparò le schede falsificate per il ballottaggio di Albano. Costui, però non appena io abbia fatto il suo nome, ha il dovere di darmi querela per diffàmazione con citazione diretta. Se la mia accusa risulterà infondata, io andrò in carcere come diffamatore e mi ritirerò per sempre dalla vita pubblica. Se dimostrerò con prove certe la verità dell'accusa, l'amministrazione della Ragione pagherà 50 mila lire a quella istituzione di beneficenza che io indicherò. Non accetto né inchieste private, né giuri d'onore. Augurandomi che la Ragione accetti immediatamente e incondizionatamente la mia proposta e mi permetta di fare il nome del colpevole e di mettere io luce la profonda bassezza intellettuale e morale di certa gente, G. SALVEMINI Gl'ingenui lettori penseranno che la Ragione, saldamente convinta della purezza dei suoi amici, sicura di farmi andare in carcere come diffamatore, e certa di non dovere mai sborsare nea'nche un centesimo delle 50 mila lire da me chieste, abbia accettato senz'altro il patto. Invece, ecco che cosa la Ragione scriveva (2 novembre 1910): 206 BibliotecaGinoBianco
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