Gaetano Salvemini - Come siamo andati in Libia

Problema adriatico e problema mediterraneo non venga stornata dalle manovre giolittiane, ci consentirà di assicurare bene il nostro confine terrestre e orientale, ci consentirà di vivere tranquilli nel1'Adriatico, ci procurerà magari qualche nuova colonia e qualche zona d'influenza chi sa dove, ci darà una maggiore fiducia in noi stessi: saremo, insomma, dopo la guerra, nella migliore delle ipotesi, piu forti di quanto fossimo prima - a parte gli eventuali nuovi acquisti coloniali, che a nostro parer~ rappresenterebbero una nuova debolezza! -; ma potremmo, anche nella miglioreipotesi, crederci davvero "risaliti al posto di vera grande potenza," anzi di essere divenuti a un tratto "pari coi pari"? Saremmo, cioè, divenuti ricchi come l'Inghilterra e la Francia? Saremmo divenuti ordinati e disciplinati come i tedeschi? Sarebbe la coltura e la moralità delle nostre classi dirigenti e popolari salita, per la guerra, ad un livello piu alto di quello bassissimo, che ha oggi? Non facciamoci illusioni. Questa guerra, se ad altro non dovesse servire, dovrebbe, anche nella migliore ipotesi, convincerci una buona volta ad abbandonare la fisima di giocare alla grande potenza. Questa guerra sta riclassificando le potenze per un mezzo secolo almeno: in prima linea, Inghilterra e Germania; in seconda, Francia e Russia; in terza linea, Austria e Italia; l'Austria, se non va a rotoli del tutto; l'Italia, se non è condotta dai nostri neutralisti al di sotto, non che della Serbia, della Spagna. Certo, se le cose ci andran bene, cresceremo di statura morale e politica. Ma non esageriamo troppo l'importanza di questa crescenza eventuale ed augurabile. Per noi non si tratta tanto di crescere, quanto di acquistare una indipendenza reale dal blocco austro-germanico e correggere una debolezza che per mezzo secolo ci ha paralizzati. Questa visione assai modesta della nostra posizione nel mondo noi non la perdiamo neanche in questo momento, in cui affermiamo che l'Italia non deve st,arsene neutrale ad aspettare che i vincitori, quali che sieno, le dieno o non le dieno qualche boccone di pane, ma deve collaborare a creare una nuova situazione europea, in cui la relativa potenza del paese sia aumentata. Nell'Europa muterà assetto e quindi - scrive - "è necessario provvedere fin da ora non soltanto a contribuire al formarsi di quegli elementi politici che potremmo volgere a nostro profitto." La soluzione della questione adriatica eliminerebbe " una debolezza della nostra efficienza militare " e " la nostra potenza assai si avvantaggerebbe relativamente ai problemi mediterranei." E siccome " l'Italia è essenzialmente una potenza mediterranea, niente le può essere estraneo di ciò che sarà per accadere nel Mediterraneo. Ora ciascuna potenza della Triplice Intesa vorrà trarre un immediato profitto dalla guerra." Se la Turchia cesserà di esistere cosa verrà dato a noi " affinché la nostra potenza non sia diminuita o danneggiata dall'accrescimento dell'altrui potenza"? Che cosa pensa la Triplice Intesa " in riguardo agli interessi mediterranei italiani nel caso di una partecipazione dell'Italia al conflitto "? I pochi indizi disponibili dimostrerebbero che l'Intesa non è disposta a concessioni nel Mediterraneo. Quindi bisognerebbe evitare "che la Triplice Intesa ricattasse l'Italia, speculando su un suo supremo interesse a riconquistare i lembi di terra italiana in possesso dell'Austria e su una necessità d'ordine politico superiore. Perciò se è necessario e fatale che noi muoviamo contro l'Austria, è anche necessario che noi cerchiamo prima di tutelarci con presidi diplomatici, che assicurino l'Italia nelle future trattative di pace contro una ripetizione del caso del Congresso di Berlino, dove si discussero pro forma e per i gonzi i patti, che già erano stati conclusi anticipatamente fra alcune potenze." All'articolo di Evoli Salvemini fece la seguente postilla. Il brano " L'Italia è un paese povero... saranno soggette al regime della porta aperta " è riportato dallo scritto Guerra o neutralità, par. VII (cfr. qui sopra pp. 468-470). [N.d.C.] 477 32. oteca Gino Bianco

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