Perché dovevamo andare in Libia Si dice e si disdice. Si dà un colpo al cerchio e un colpo alla botte. Si vota un ordine de] giorno contrario all'occupazione, ma prima si dichiara che da quell'ordine del giorno l'occupazione non è affatto esclusa. S'intende che poi - ad occupazione compiuta - se avverranno dei malestri, e se bisognerà allargare i cordoni ddlla borsa per mantenere " l'onore della bandiera," allora quegli stessi deputati, che oggi han commesso la prima viltà dissimulando il loro consentimento alla spedizione, commetteranno fa seconda mag• giore viltà, pestando i piedi stizziti, protestando in nome degli interessi nazionali. offesi, proclamando di qua e di là che essi alla impresa rovinosa erano stati contrari. Purtroppo · le masse non sentono il pericolo. Ma i deputati ddll'Estrema si ingannerebbero a partito, se credessero di poter attribuire. tutta al paese la responsabilità dei fatti : il paese tace, non si oppone con l'energia necessaria, fa male, malissimo. Ma essi, i signori deputati, non appartengono mica al paese della luna; fan parte del paese anch'essi; e data la posizione di fiducia ad essi affidata, toccava ad essi assumere a'iniziativa dell'agitazione, illuminare gli elettori, assumersi con coraggio e senza finzioni la loro parte di i;.esponsabilità nell'impresa, dato che l'approvassero. Essi, invece, han preferito trincerarsi dietro agli equivoci, assicurarsi una via di ritirata pel caso che le cose vadan male, scusarsi della mancanza di energia e di risdluzione con l'affermare che non c'è nessun pericolo per ora. .A suo tempo, poi, commetteranno la terza massima viltà: e diranno che se la spedizione di Tripoli si fece, la colpa non fu né del Governo né del Parlamento, né di altri: fu tutta esclusivamente del paese. La " fatalità storica " Nel 1902 l'impresa non si fece. Ma fino d'allora apparve a luce meridiana che una buona parte dei deputati di Estrema Sinistra era favorevole, o per lo meno non era contraria all'impresa. E la vecchia ictea continuava a filtrare negli spiriti, si depositava in quelli che si potrebbero chiamare gli ipogei della coscienza o piuttosto della incoscienza nazionale, si trasformava in dogma indiscusso e indiscutibile, conquistava l'adesione finanche di uomini ostili per temperamento e per ideali ad ogni politica imperialista e coloniale, e tutt'altro che illusi intorno alle capacità economiche della " terra promessa." Giuseppe Ricchieri, per es., nel 1902, pur riducendo a proporzioni assai modeste le illusioni di sfruttamento economico della regione, e demolendone il valore strategico, riconosceva la necessità che un'altra nazione non occupasse, invece dell'Italia, la Tripolitania (La Tripolitania e l'ltaHa, Soc. editrice Dante Alighieri, MCMII). E Francesco Papafava, un ànti-colonialista bello e buono, che nel 1911 accennando alle velleità libiche dell'Italia, faceva presente la necessità di non dimenticare che la Francia, quattro volte piu ricca di noi, dopo settanta anni di cdlonizzazione, consuma ancora in Algeria, molto piu fertile della Tripolit;rnia, piu ricchezza che non ne ritragga (Dieci anni di vita italiana, I, 176) già nel gennaio 1902 ammetteva che è nel nostro interesse che la Tripolitania non diventi né francese né inglese, ma resti riservata all'Italia, per quando vorrà e potrà occuparla (ibid., I, 224). 317 ™ ioteca Gino Bianco
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