Gaetano Salvemini - Come siamo andati in Libia

IL decreto della sovranità e la pace di Losanna Libia un "luogotenente del dominatore politico" di Costantinopoli, s1 è nmangiato, sia pure formalmente soltanto, il decreto del 5 novembre. Se voi, amici lettori, siete assidui del Giornale d'Italia e avete tuttora l'eroismo di prendere sul serio il nazionalismo di felice memoria, e perciò sapete che l'Italia contiene il popolo senza dubbio piu potente e piu invincibile e piu inesauribile dell'orbe terracqueo; e se per un anno intero vi siete bevute in perfetta giocondità di spirito tutte le mille battaglie, ciascuna delle quali è stata piu straordinaria di quella dei Campi Catalauni, in cui il romano Ezio dicesi abbia uccisi trecentomila barbari, con questo di speciale per le battaglie nostre, che i nostri soldati, mentre massacravano tutti i turchi e tutti gli arabi dell'universo, erano assolutamente invulnerabili, e se qualcuno di tanto in tanto ne moriva era solo perché non era umanamente possibile impedirgli di suicidarsi; e se ritenete per fermo che l'Italia non avrebbe dovuto fare altro che desiderarlo per arrivare in un batter d'occhio al lago Ciad, e poteva precipitarsi con indiscutibile sicurezza nel vortice delle conflagrazioni balcaniche per rinnovare al di là dell'Adriatico, senza pericoli e senza ostacoli, le grandezze di Roma " che il buon tempo feo "; se, amici lettori, voi portate nelle vostre vene il divino seme degli eroi, è positivo che voi dovete, dinanzi alla vostra diminuita sovranità, fremere vigorosamente di rabbia e di orror. Ma noi non siamo seme di eroi. E troviamo che dopo un anno di guerra, e dopo due miliardi di spese, e dopo migliaia di vite italiane sacrificate nelle battaglie e negli ospedali, la nostra conquista non penetra in nessun luogo piu addentro che qualche decina di chilometri dalla costa, e soprattutto siamo stati continuamente angosciati dai pericoli di complicazioni internazionali con cui la guerra con la Turchia ci ha seminata per un anno intero la strada, e siamo soddisfatti che la questione libica sia diventata oramai una semplice questione di politica interna italiana, e abbiamo fino da principio considerato come un errore enorme, imperdonabile, il decreto del 5 novembre che rendeva impossibile la fine della nostra avventura in quanto aveva carattere internazionale, e lodiamo incondizionatamente i nostri fiduciari di aver saputo trovar la via per correggere quell'enorme errore. Solo ci domandiamo, e tutte le persone di buon senso saranno con noi a fare le nostre stesse domande: nell'ottobre dell'anno scorso, secondo quanto si afferma da molte. e buone fonti, la Turchia propose ufficiosamente all'Italia la pace sulla base del mantenimento della sovranità turca in Tripolitania. "Du drapeau ture quelque part!" cos1 definiva la sovranità un diplomatico turco, inviato a Roma per questo scopo, a chi gli chiedeva in che cosa dovesse consistere _questasovranità. Era una questione di forma, un desiderio legittimo della Turchia, che noi avevamo tutto l'interesse di soddisfare, salvo a definirne le modalità come abbiam fatto nelle trattative di Ouchy. Il Governo italiano rifiutò questa proposta. Perché la rifiutò? Perché respinse nell'ottobre del 1911 ciò che doveva accettare nell'ottobre del 1912? Al rifiuto di ogni concessione fatta dal nostro Governo risposero i turchi con le " sorprese " del 23 e 26 ottobre. Risposero alle " sorprese " le stragi di 253 is. ioteca Gino Bianco

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