"Come siamo andati in Libia" e altri scritti dal 1900 al 1915 tanto placata di chilometri quadrati da aggiungere al territorio nazionale, non può amare l'Italia, se non attaccando briga con gli altri: con la Turchia per Tripoli, con la Francia per la Tunisia, con l'Inghilterra per Malta, con l'Austria per Trento e Trieste, con chiunque per qualunque motivo. E poiché tutto il mondo insieme non si può sfidare, e per sfidare impunemente l'uno occorre esser sicuri dell'appoggio di qualche altro cos1 il nazionalismo nel suo cieco bisogno di odiar sempre qualcuno, è portato continuamepte a fare l'interesse non tanto della propria nazione, quanto di quell'altra nazione su cui è costretto ad appoggiarsi per poter fare il prepotente coi terzi. In questo momento la .mira dell'odio nazionalista è la Francia, che si suppone osso meno duro a rodere che l'Austria; il pretesto è la Tunisia; e chi ci guadagnerà da questo nuovo furore belligero, se l'opinione pubblica non metterà una buona volta il fermo a questa forma di malattia mentale, saranno la Germania e l'Austria. Leggiamo, infatti, il Corriere della Sera del 24 febbraio 1912: A suo tempo, quando la decisione del Governo [ di iniziare l'impresa di Tripoli] era ancora incerta, noi tenemmo a indicare queilli che a parer nostro erano i valori della Libia, e parlammo di una gerarchia di valori, e al sommo ponemmo il valore politico. L'impresa voleva dire che una parte dell'Africa mediterranea doveva essere nostra; che la politica mediterranea diventava per conseguenza, per noi, la final.ità preminente della nostra azione; che la politica adriatica coltivata nell'ultimo decennio costituiva un aspetto, importantissimo si, ma non esclusivo né assorbente, della nostra attività internazionale. Una colonia genera da se stessa nuove espansioni; diventa fatale il non fermarsi, il proseguire, lo sviluppare e completare il pr~mo nucleo. Iniziato il movimento, la politica africano-mediterranea diventa per noi fatalità. La Libia deve essere per noi un punto di partenza, non un punto d'arrivo. La nuova espansione, evidentemente non può avvenire intorno al "nucleo" tripolino, che o verso la Tunisia o verso l'Egitto. La nuova "fatalità storica africano-mediterranea " ci porterebbe ad abbandonare l'Adriatico al1'Austria, ed a cercar compensi a spese della Inghilterra e della Francia. E data la intesa anglo-francese ci obbligherebbe a lottare in spese militari marittime con le .altre due potenze mediterranee. I giornali tedeschi hanno già delineato il programma della nuova Triplice, assai diversa da quella, come dice il Corriere della Sera, del 4 luglio, costituita attualmente, che nell'ultimo decennio ha tutelati gl'interessi adriatici dell'Italia. Alcuni passi degli scritti piu caratteristici, usciti in Germania negli ultimi mesi dell'anno scorso, subito dopo l'inizio dell'impresa di Tripoli, furono da noi riprodotti nel n. 8 dell'Unità. Non sarà inutile ripeterli ora ancora una volta. Messi accanto a ciò che ha scritto il Corriere del 24 febbraio, si ha l'impressione di ascoltare un'unica voce. Il conte di Re~entlow nella Deutsche Tageszeitung dei primi dell'ottobre passato, proprio pochi giorni dopo la nostra dichiarazione di guerra alla Turchia, seriveva : 210 Biblioteca Gino Bianco
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