'' Come siamo andati in Libia" e altri scritti dal 1900 al 1915 provincie, le quali hai:i bisogno d'una corrente diversa d'immigrazione, cioè d'una corrente a base familiare e permanente, con capitale a disposizione. Noi non siamo tra coloro che riprovano l'impresa di Libia. Tutt'altro. Non sapremmo però dare all'impresa un carattere di conquista per impresa di sfruttamento coloniale nel senso vero della parola, perché riteniamo che, date le condizioni speciali dd nostro paese, una politica coloniale di sfruttamento rappresenta un ostacolo alla politica di libera espansione economica, e segnerebbe il principio di una crisi finanziaria, e riteniamo pure che una politica coloniale simile può essere solo intrapresa da paesi ricchi, disposti per lunghi anni a rimettere piu che ritrarre dalle colonie guadagnate colle armi. E noi non ci troviamo in verità nelle condizioni di vagheggiare una simile politica. Non dimentichiamo che il nostro è troppo lontano dall'essere un paese ricco: basta a provarlo la prevalenza della ricchezza immobiliare sulla mobiliare, senza dire che la stessa ricchezza immobiliare è insufficiente. Abbiamo inoltre una parvità di ricchezza media, con esigua capitalizzazione annuale, per cui ogni aumento di popolazione costituirebbe un impedimento nuovo al nostro incremento economico, se questo impedimento non fosse attenuato dall'emigrazione. Certo le due provincie son pur destinate per- tanta parte ad un avvenire economico, ma questo avverrà gradualmente e lentamente, man mano che noi potremmo importare nella Libia capitali i quali permetteranno l'utilizzazione d'una parte delle nostre energie di lavoro che non trovano applicazione in patria. Ma oggi il continuare a declamare sullt! immediate risorse della terra promessa, ed il pensare che questa possa richiamare una parte della nostra corrente d'emigrazione, ha un solo valore: contribuire a moltiplicare le illusioni. Le !'illusioni" o, in lingua povera, menzogne - dicono parecchi anche fra coloro, che riconoscono non trattarsi di altro che di fantasie - sono necessarie per rendere popolare la guerra imposta all'Italia da superiori esigenze politiche e per creare intorno ad essa la unanimità nazionale. E non badano che sulla menzogna e sull'illusione non si è fabbricato mai nulla di utile o di stabile. Quando la guerra sarà finita, almeno nella regione costiera, se frattanto non avremo provveduto a smontare la illusione economica, i poveri contadini meridionali, a cui si è fatto credere che la Libia sarà la loro America, si riverseranno nella colonia, smaniosi di investirvi i loro piccoli risparmi e di utilizzarvi le loro braccia. Gli speculatori, che prima della guerra hanno accaparrato con comodo qualche diecina di migliaia di ettari di terra, venderanno queste possessioni a prezzi centuplicati, approfittando della ressa delle richieste. Toccherà da allora in poi ai contadini ingenui di cavarsi d'imbarazzo. La delusione non si farà aspettare. E allora dove il Banco di Roma avrà seminato il vento, l'Italia raccoglierà le tempeste. Eppure siamo sempre in tempo ad evitare o almeno a limitare i danni del futuro. Basterebbe che si cominciasse una buona volta a dire la verità! Ma la verità non piace a quella stampa che vive di "improntitudine," come ha scritto il generale Ameglio. 182 BibliotecaGino Bianco
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