Gaetano Salvemini - Come siamo andati in Libia

Gaetano Salvemini Come siamo andati in Libia e altri scritti dal 1900 al 1915 L'impresa libica, esaltata da una campagna di falsificazioni e mistificazioni, che Salvemini senti il dovere di demolire sotto ogni punto di vista, politico, economico, militare; l'irredentismo, combattuto quando significava milit-arismoe guerra a tutti i costi, difeso quando, allo scoppio della guerra mondiale, divenne espressione dell'idea mazziniana di nazione; la questione balcanica, con tutti i complessi problemi di confine che comportava, prospettata in vista di una sistemazione della nazione jugoslava; l'intervento, propugnato non su basi retoriche e nazionaliste, ma come argine alla potenza prussiana, nella prospettiva di un riassetto territoriale dell'Europa e del raggiungimento dei nostri confini naturali: questi i grandi temi, intorno ai quali si raçcolgono gli scritti di politica estera di Salvemini, ora presentati per la prima volta, per cura di Augusto Torre, che di Salvemini fu amico e collaboratore. Questi scritti, che vennero intensificandosi progressivamente con l'affacciarsi delle gravi questioni internazionali, non solo costituirono una novità in quegli anni in cui la storiografia ufficiale era tutta tesa alla ricerca del documento ed il socialismo trascurava tali questioni come quelle che riguardavano soltanto i regimi borghesi, ma rispondevano anche a un preciso credo di Salvemini: "lo storico non può rimanere indifferente di fronte agli avvenimenti, né rinchiudersi nell'esame del passato e per volere essere impassibile chiudere gli occhi al presente." E quando la Voce tentò di limitargli lo spazio, egli, per poter ribadire finché necessario le sue denunce, fondò un nuovo settimanale, L'Unità: "Per conto mio, non avrei difficoltà ad accettare qualunque generale Govone e qualunque cipresso di San Guido, purché ci sia tutto il Tripoli che è necessario... Ma tacere, mai, mai... E il mio dovere oggi è: o parlare sempre, in ogni numero, di Tripoli, finché non abbia vuotato il sacco, o non parlare di nulla." Biblioteca Gino Bianco

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