Gaetano Salvemini - Stato e Chiesa in Italia
Capitolo dodicesimo' L'agonia della "questione romana 11 [Seconda redazione (1931) :] Questo succedersi di alleanze elettorali e di buoni uffici reciproci non poteva non avere un qualche contraccolpo anche sulla questione romana. L'esperienza - un'esperienza che durava ormai da quarant'anni - dimo– strava che· la condizione del pontefice in Roma non era cos1 "intollerabile" come andavano novellando nel mondo i propagandisti dell'obolo di san Pietro. In tanti anni, la Santa Sede non aveva mai potuto dare una prova che il governo italiano limitasse in alcun modo la sua libertà.2 La piu grave violazione alla "libertà della Chiesa,'~ che avesse avuto luogo dopo il 20 settembre 1870, bisognava addebitarla non al governo italiano, ma a sua maestà apostolica l'imperatore d'Austria, che nel conclave del 1903 fece pronunziare il veto contro il cardinal Rampolla dal cardinal Puzyna. 3 Men– tre era realmente libera da 0gni dipendenza verso il governo italiano, la Santa Sede non aveva nessuna di quelle responsabilità, che avrebbero gravato su di essa per il mantenimento dell'ordine, se avesse dovuto esercitare in Roma 1 Su questo capitolo cfr. la Nota al testo, p. XXXIX. [N.d.C.] 2 L'abate E. DEVOGHEL, La questione romaine sous Pie XI et Mussolini, Paris, Bloud et Gay, 1929, p. 8, scrive che nel 1878, alla morte di Pio IX, il cardinale Pecci "aveva dovuto sal– vaguardare la libertà del Conclave." La verità, riconosciuta esplicitamente da un altro scrittore cattolico, francese, professore di storia ecclesiastica nel seminario parigino di Saint-Sulpice e ora superiore generale della congregazione dei Sulpiziani, è che alla morte di Pio IX vennero messe in circolazione, specialmente in America, voci tendenti a far "temere un'invasione violenta del Con– clave da parte di bande rivoluzionarie italiane." "Questi timori furono vani," perché il governo italiano e le autorità municipali di Roma presero tutti i provvedimenti necessari per impedire il minimo disordine: F. MouRRET, Histoire générale de l'E.glise, cit., vol. IX, p. 4. Dunque il cardi– nale Pecci non ebbe da salvaguardare niente. 3 UN TÉMOIN[card. F. D. Mathieu], Les dernièrs iours de Léon XIII et le conclave, in "Revue des deux mondes," 15 marzo 1904, p. 280; J. DE NARFON, Pie X, cit., pp. 42-44. Negli ambienti cattolici italiani circola sul conclave del 1903 la leggenda che l'imperatore d'Austria sia stato indotto a presentare il veto dal governo italiano. Nel 1902 e nel 1903 le relazioni fra i go– verni di Vienna e di Roma erano assai difficili; proprio nell'estate 1903 si parlava finanche di guerra fra i due paesi. È assurdo pensare che Francesco Giuseppe abbia voluto fare proprio allora un piacere al governo italiano. Un giornalista, Luigi Lodi, che fu intimo di Zanardelli (primo ministro e ministro degli Interni nell'estate del 1903), e che vedeva continuamente Zanardelli nei giorni della malattia di Leone XIII e del successivo conclave, scrive a proposito del veto austria– co: "Gli [a Zanardelli] fu comunicato da Berlino che la Germania avrebbe indotto l'Austria a porre la 'esclusiva' alla candidatura Rampolla [ .... Zanardelli] ne ebbe piacere moderatamente. Gli era stato detto che forse poteva essere eletto un cardinale in buoni rapporti con la Casa Reale, e avrebbe preferito che cosi fosse. Invece all'ultimo lo si assicurò della probabilità della riuscita del Patriarca di Venezia, e se ne adirò molto. 'È stato lui - diceva - a far vincere i moderati nelle elezioni veneziane!'." ("La stampa", Torino, 13 settembre 1929). A questo si ridusse l'influenza esercitata dal governo italiano nel conclave del 1903. 181 1otecaGino Bianco
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