Filippo Turati - Il vindice sacrificio di Giacomo Matteotti

7 •regime di minaccia e di prepotenza potesse essere ricostrut- -tore, che la più immonda curée potesMe germogliare la rige- •nerazione del Paese, cllfl gli E>rror1e le colpe fugaci di una massa illusa (e non cerchiamo illusa da chi; e non doman- •diamoci se veramente esistano le colpe di un popolo) doves- •sero P.spiarsi, non col richiamo severo alla ragione, ma con la catena dei delitti, con la tregenda delle sopraffazioni eser- •citate su qnel popolo; col dileggio di ogni umana dignità; -con la tragedia del terrore, accoppiata alla coreografia di ve• tusti trionfi mal redivivi. Lo credettero in buona fede; alcuni (sempre più radi) Io credono ancora. Una leggenda dispersa. Ma per poco, ormai. L'oscena leggenda è sfatata. Giacomo Matteotti "l'ha dispersa; l'ha dispersa per sempre. L'edificio dell'iniquità e dell'ipocrisia crolla da ogni parte. Ah! sl. I masnadieri avevano mirato giusto, sopprimendo il nostro migliore. Mirando al suo cuore, sapevano di mirare al nostro cuore. Ma ignoravano la sanzione inesorabile •che fu sempre nelll" vicende del mondo. Ignoravano - fn confessato ·_ che il delitto era sopratutto un. errore. Che la vittima sarebbe stata il giustiziere. Che la coscienza di un popolo, che ha millenn, di storia e di gloria, si assopisce, si comprime, ma non si spegne. Che i morti non pesano soltanto, ma sopravvh-ono. Giacomo Matteotti vince morendo e ci accompagna e ci g,lida. S(I commemorazione è questa, se questo è un lugubre rito, non è-l'epicedio sul suo tumulo ignorato, non è la riconsacrnz'one di una salma che non· può riappàriré é che più· è presente <J1rn.ntopi,ì è nssente e cebtn. 1 lioteèa Gino Bianco

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