non esprimono un'egualmente profonda legge penale. Carrara li chiama giganti nel diritto civile, pigmei nel· diritto penale. Tuttavia è interessante notare che essi puniscono più ;everamente l'ingiuria che lo schiaffo ( percussa levis): la parola per essi, che ne sono adoratori, colpisce più del gesto. La loro legge considera l\ngiuria reato di azione pubblica. Colui che si rende colpevole del reato di ingiuria perde financo alcuni diritti politici, come - ad esempio - l'eleggibilità al decurionato. Se il Favre vivesse in quell'epoca, non avrebbe bisogno di scagliare contro Fa'.loux la nota invettiva, con la quale si ripaga per l'impunità dell'oltraggio ricevuto: « le ingiurie seguono le leggi della gravità; non !tanno peso se non per l'altezza dalla quale cadono >>. Invero i Romani, che fanno de:la parola una massima regola di vivere e di convivere, pensano che chi non riesca a signoreggiare la parola, nel moto dei primi istinti, non ne potrà avere il necessario dominio nel gestire la cosa pubblica. Nella gestione della quale, la parola è elemento primo. Per questo, inibiscono la carica all'ingiuriatore. Si dice pure che l'oratoria sia arte caduca. Che cosa rimane, ai venturi, d'un'orazione? il ricordo. Anche se l'orazione rim.ane, scritta, n'è per sempre· disperso il momento in cui essa nacque e visse. Nella « Trilogià del Wallenstein », Schiller paragona la parola al suono che tintinna e dilegua: nasce e muore con l'artefice l'apra e nel momento la subitanea creazion si perde, come suon che tintinna e si dilegua, chè nulla di durabile tramanda la sua fama ai venturi! Ma forse la cosa comincia col diventare un luogo co- ·•rnne. Deve aver detto qualcuno che i luoghi comuni, in fondo, sono concetti che ebbero originariamente una parte di verità. . · Nessuno, delle società posteriori, ascoltò Cicerone; ma tutti lo dissero ugualmente il più grande oratore del mondo latino. La fama dell'oratore vive nelle rapsodie e si tramanda con il mito, come il mito . . BibliotecaGino Bianco
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