Titta Madia - Storia terribile del Parlamento italiano

L'Europa prefascista, in stato di tabe, con assoluta assenza di riflessi, incapace di reazioni, finì col soggiacere alla colossale transoceanica prepotenza d'un brigantaggio storico, per cui le democrazie statunitensi, dopo avere trasferito le nobiltà e k primogeniture ,dalle forze ideali di cui erano prive al successo del ferro e del carbone di cui erano fornite, usurparono la funzione di condottiere europee, imponendo una civiltà meccanica, predatrice, avventurosa, filistea, egoistica e crudele. Non è a dire che non si tenti di dare una toletta a questo feroce senso dell'io: il liberalismo, accanto alla preminenza dell'individuo, pone la preminenza dell'umanità; ma trattasi d'un espediente da panurgo, d'un'umanità a concetto teoretico panteistico e accademico, che nega l'esemplare per affermare la specie e nega la specie per affermare il genere, un'umanità che consente di civilizzare i pellirossa a martellate per obbedire al. divino precetto di non spargere sangue, un'umanità che chiude gli occhi dinanzi alle soffitte dove si jgonizza d'inèdia per attingere altezze stratosfèriche dove (nell'impossibilità della respirazione) manca il reperto umano. L'idea d'umanità deve pure avere un nome e una norma, diversamente si evapora nel caos degli arbitrii; può estendersi sino a quell'8 coricato che per i matematici significa « iniìnito >> e può restringersi sino alla circonferenza esatta del proprio ventre: per questa seconda ipotesi è Miguel De Unamuno, caballero che conosce le avidità del prossimo, quando avverte che « l'umanità è solo un'astrazione concretata in se stessi, sì che predicare l'amore dell'umanità equivale, per naturale conseguenza, a predicare l'amore di sè >>: istantànea del. liberalismo, perfetta. E la poesia allora ? I paesi liberalissimi han subìto la poesia come un male necessario, han visto il Parnaso sulla stessa linea del manicòmio, fingendo di essere troppo indaffarati per fermarsi, ma mettendo l'occhio alla serratura. Perciò i loro stessi poeti non li hanno amati e non li hanno cantati: Byron, componendo a sera accesissimi versi, considera la propria strofe come « il vulcano la cui eruzione impedisce un terremoto »; più tardi Carlyle, desolato, pensa a Byron che è stato un vulcano; ma noi - sogg,iunge - « guardiamo tristemente le ceneri del cratere, che presto si riempirà di neve». , ·Biblioteca Gino Bianco

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