Come ha potuto egli scrivere che il terrore è lecito contro i reazionari e controrivoluzionari, che debbono essere combattuti e soppressi « con qualunque mezzo », ma non contro gli anarchici e altri ultrarivoluzionari? È ovvio che anche questi sono, per un governo rivoluzionario socialdemocratico e dittatoriale, dei controrivoluzionari, e quindi dei nemici da sopprimere. 2 La rivoluzione è atto di forza e come tale si distingue dalla , evoluzione o trasformazione graduale e pacifica. Ma l'uso della forza dev'essere circoscritto ai campi di battaglia od attorno alle barricate, non si deve estendere all'opera di ricostruzione. La forza non deve servire né a sopprimere le libertà personali (di pensiero, di stampa, di associazione, ecc.), né a sopraffare le minoranze; non dev'essere impiegata né contro gli affini e vicini e neppure contro gli avversari. Non è necessario sterminare la borghesia. Questa, spogliata dei suoi privilegi e monopoli, cessa d'essere tale; gli elementi migliori di essa verranno al popolo, verranno alla rivoluzione, che saprà utilizzarne le capacità e le • energie. E neppure sarà necessario sopprimere tutti quelli che, pur appartenendo alla classe lavoratrice, per ignoranza, per pregiudizi inveterati o per misoneismo, conservassero attaccamento alle presenti istituzioni; né quelli che volessero attuarne altre che essi reputassero (e potrebbero aver ragione) preferibili. Non guerra alle persone. 2 Luigi Fabbri, « Dittatura e rivoluzione», Ancona, Bitelli, 1921, pagg. 78, 252, 25, ecc. [Aggiungiamo da parte nostra che anche in una sua recensione di questo libro, notevole sotto diversi aspetti e recentemente ristampato, apparsa nella rivista milanese Pagine Libertarie del 20 ottobre 1921, il Merlino accennò a quella contraddizione, che è veramente inspiegabile in un uomo della levatura intellettuale e morale di Luigi Fabbri. È ovvio che il Fabbri, il quale nel suo libro critica vivacemente le teorie e i metodi dei comunisti dittatoriali o leninisti, contrapponendo il terrorismo libertario al terrorismo autoritario, intese affermare anch'egli l'esigenza di difendere la rivoluzione con la massima energia; ma si servl di un'espressione che tradendo le sue più intime convinzioni, lo metteva, si può ben dire, in contrasto con se stesso. Errico Malatest~, un rivoluzionario di schietta formazione antigiacobina, che gli fu compagno e maestro, alcuni anni più tardi nella rivista romana Pensiero e Volontà ( 1 ottobre 1924) cosl concludeva un suo articolo dedicato appunto al terrore rivoluzionario: « Se per vincere si dovesse elevare la forca nelle piazze, io preferirei perdere »]. 529 Biblioteca Gino Bianco
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