Francesco Saverio Merlino - Il socialismo senza Marx

Il secondo progresso, inseparabile dal precedente, è stata la concezione di un'eguaglianza reale e non nominale tra i due termini del contratto di lavoro. Il secolo che sta per finire è stato caratterizzato da una distinzione profonda tra la classe dei capitalisti e quella dei lavoratori salariati; il lavoratore isolato, con la sua libertà troppo . negativa, si è trovato allora nelle condizioni evidenti d'ineguaglianza in faccia al padrone. Egli non poteva né riservare la sua offerta di braccia per attendere circostanze più favorevoli, né trasportare la sua offerta di braccia sul punto più vantaggioso del mercato. La legge dell'offerta e della domanda operando in queste condizioni, è chiaro che il funzionamento ne era alterato dalle « leggi naturali » della vita: il contratto di lavoro non aveva più che l'apparenza di un compenso reciproco. Perciò si è sempre più compreso che quando si . tratta di persone e non di cose, il progresso della legislazione consiste in gran parte_nell'impedire « che un diritto a qualche cosa possa diventare un diritto su qualcuno » (Belot) ... Il terzo progresso della dottrina, infine, è stata la concezione d'una fratellanza diversa da quella che riposa su un puro sentimento, di una fratellanza identica alla giustizia sociale. Vi è una giustizia di libertà che vuole che si rispetti lo sviluppo della mia personalità individuale, vi è una giustizia di eguaglianza che vuole che gli uomini altrimenti più ineguali siano trattati egualmente per gli atti dello stesso valore; ma vi è anche una giustizia di solidarietà, troppo sconosciuta, che vuole che facendo parte di uno stesso tutto, reagendo l'uno sull'altro, non potendo agire nella vita sociale senza che le mie azioni abbiano una ripercussione in altri, io prenda in considerazione il bene degli altri nello stesso tempo che il mio proprio. Quando io agisco, il mio atto risuona in voi in virtù della solidarietà che ci lega: per conseguenza il mio atto volontario diventa, come si è detto, « un atto involontario della vostra vita ». Ora, se noi viviamo in parte della vita degli altri, 11erisulta che gli altri, subendo le conseguenze della nostra condotta, hanno un diritto verso di noi. Non è dunque se non che « giusto », in fondo, di proporsi per fine il tutto di cui noi siamo parte. Questa è giustizia di solidarietà, di cui la carità pura era una applicazione ancora troppo vaga, arbitraria, incerta e che nelle nostre società moderne, sotto il nome di giustizia sociale, deve riuscire ad obbligazioni precise. 151 ·Biblioteca Gino Bianco

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