" F. S. MERLINO dal maggior guadagno del possidente e dai crescenti bisogni della civiltà. Certo i piccoli proprietari creati dalla divisione dei grandi possedimenti « raddoppiarono cure e lavoro quand'cbbero la sicurezza di non dover lavorare per gli altri ma per sé e molte terre che, per la negligenza dei possessori troppo ricchi, erano state coltivate poco o punto, divennero, grazie agli sforzi di coloro di cui formavano l'unica riccl:iezza, molto fertili e produttive. » Se a ciò si aggiunge la sobrietà di quei coloni, la loro industriosità e la competenza negli affari, « si può farsi un'idea di quel tempo dai nostri padri tanto vantàto come la vera età dell'oro.» Ma, col tempo, il numero di quei proprietari si rarefece: gli uni, i cui possessi eran troppo piccoli, divennero preda dei grandi proprietari cc che spiavano l'occasione di allargare i loro dominii, riprendendosi ciò che avevano ceduto; gli altri, arricchitisi, furono attratti dal lusso delle grandi città, oppure, desiderando sottrarsi all'influsso sempre grandissimo degli antichi feudatari, ccdisertarono la campagna e andarono a spendere le ricchezze accumulate n nei capoluoghi, i cui abitanti a loro volta passavano nelle capitali delle provincie e quelli delle provincie nella capitale del regno.» Per alimentare i loro vizi e soddisfare le ambizioni, impoverirono sé e la terra al tempo stesso. Difatti « i proprietari incominciarono allora a vendere i boschi e a tagliare le querce che ricoprivano le montagne (donde alluvioni e altri disastri sempre piu frequenti nelle campagne) a ritirare i capitali necessari all'agricoltura, fra cui mandrie e greggi, isterilendo i terreni». Al tempo stesso, col crescere della popolazione, aumentarono i fitti e i massari si videro costretti a faticar~ e a sfruttare la terra, con danno dell'agricoltura e miseria generale. « Donde, infine, i prestiti a usura, la espropriazione dei coloni impossibilitati a pagare l'affitto e il desiderio di acquistare e di arricchire, non mediante il lavoro e il risparmio, ma con frodi e processi che finivano col gettare nelle avide mani dei legulei ricchezze che sarebbero state meglio impiegate nell'agricoltura». All'epoca in cui scriveva l'autore dell'importante opuscolo da cui abbiamo tratto i passi succitati 21 , il processo econo27. Sul pauperismo della provincia di Abruzzo-Citra, di RAFFAELEDE NovELLI, Chieti 1846. Questo opuscolo inizia con una lettera dell'Arcivescovo di Chieti all'autore in cui si lamenta amaramente che la mano avara del ricco tenesse i suoi tesori sepolti e che al tempo stesso migliaia di persone rimanessero • Biblio-tecaGin·oBianco
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