Filippo Turati - Giacomo Matteotti

Si ha un bel t~1ulere a una ,vita staccata da ogni emozione, tutta chiusa nella ramatura esatta di un pensiero che la verginità dello spirito suscita e nutre. Un improvviso ricordo spreme lacrime che hanno il sapore di wue le t,ristezz'e.. E piangere bisogna. Questo discorso pronunciato da Filippo Turati il 14 settembre 1927 alla Casa del Popolo cli Bruxelles, incrina la nostra logica tentando· la nostra malinconia. Perchè .Filippo Turati non ~ più. E nella foga appassionata, ornata e soccorrevole del prosatore insigne e dell'oratore principe, si avverte una voce dolente e presaga. Nel rimprovero al sopravvissuto che soffre l'inclemenza di una età che si fa tarda e solitaria, è una invocazione alla vita, alla piena. vita del proletaria~o italiano affrancato dalla schiavitù e afjfoncato nell'ascesa ai fratelli d'Europa e d'America e d'Asia, un richiamo ai morti e un incitamento ai vivi, un grido di •1 ede, un giuramento di fedeltà all'idea che fu sua ed è nostra. A Filippo Turati, a questo italiano schietto, a questo socialista che ebbe il pudore della propria dominante personalità, che più si voleva maestro e più si faceva discepolo, che le vicende comandavano capo e la modestia allineava gregario, non fu dato di morire in patria, di comporsi nel silenzio sotto i fiori del nostro memore af/etto, accanto alla compagna preziosa e generosa, Anna, Kuliscioff. Morì in esilio, Filippo Tu.rati, a Parigi. E nella sua ventura si riassume e si esprime la tragedia del proletariato italiano. Caro Turati, che la folla amava e non sempre capivq. Tu eri ben degno di dire di Giacomo 1Uatteotti, il migliore di tutti noi. Verli, la grande alba che tu auspicavi e promettevi ai lavoratori italiani, ai lavoratori tutti di ogni parte del mondo, è - vicina. Già sale il -sole - il sole nostro, sole rosso - nel cielo che si fa bianco, e il nero della barbarie muore. I Biblioteca Gino Bianco

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