be dirsi che il movimento comunista di quegli anni rifletteva un'immagine per il vero alquanto pallida del leninismo animatore della Rivoluzione d'Ot• tobre, giacchè esso non era pervenuto ancora a districarsi da concezioni mi• noritarie ed estremiste di stampo antiquato, che proprio il movimento operaio socialista aveva avuto il merito indiscutibile di sopravanzare. Queste non sono considerazioni che tendano, voglio avvertire, ad una capziosa interpretazione della risoluta avversione manifestata da Matteotti verso il comunismo. Essa costituisce un fatto che non sarò io a contestare o a distorcere. Solo valgono a mettere nella giusta luce la indegna speculazione che si fa, quando, prendendo a pretesto una tale posizione di pensiero, si procede ad assimilarla disinvoltamente all'anticomunismo che è parola d'ordine ai nostri tempi della reazione mondiale e di una lotta che è stata ripresa con gli stessi obiettivi che perseguiva allora il fascismo, la soppressione cioè delle libertà dei lavoratori e la distruzione delle loro organizzazioni di resistenza. E' ben noto come, dalla morte di Matteotti, un intiero decennio ancora fosse posseduto dalla intolleranza e occupato da una controversia asperrima tra comunisti e socialisti delle varie tendenze. Lontane da essa tuttavia restavano le masse, così che il solco, nonostante tutto, non potè approfondirsi. Ed è proprio in questa circostanza storica che trova spiegazione la nota caratteristica che ha contraddistinto in questi ultimi venti anni i rapporti tra socialisti e comunisti nel nostro paese. Davvero, che la borghesia italiana non ha da menar scandalo della unità d'azione, ma semmai della enormità dei delitti perpetrati da essa contro la libertà e gli interessi del popolo, che hanno suscitato nelle masse una coscienza tanto più avanzata della unità, quale baluardo inespugnabile della loro resistenza e insostituibile stru • mento del loro progresso. 316 Biblioteca Gino Bianco
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