La altissima personalità di Giacomo Matteotti può essere incasellata invero in questo passato, e catalogata alla stregua della parte personalmente a~sunta da lui in quegli anni di perturbazione profonda, solo da chi non ha visuale storica delle esperienze tormentose in cui si riflettè l'influenza della Rivoluzione d'Ottobre sul movimento operaio europeo. Così facendo tuttavia non si serve la verità e non si rende giustizia alla umanità di questo Grande. L'insofferenza del resto per le limitazioni che poneva al suo slancio la disciplina che egli stesso aveva eletto, è espressa da lui in termini che rivelano un tormento profondo e a stento contenuto. Tre mesi prima di incontrare la morte, lamentava con Turati la assenza dalla lotta, ribellandosi a quella che definiva « la tattica di fare il morto deliberata dalla Direzio1u-! », e protestava: cc In tali condizioni io non posso continuare a fare il Se~ gretario del Partito ». cc E' necessaria, egli asseriva, una revisione della nostra dottrina e tattica. E' inutile proclamarsi legalitari, finchè continuano a romperci la testa >>; per soggiungere ancora « ... un partito di classe e di netta opposizione non può raccogliere che quelli i quali siano decisi ad una resistenza senza limite ... ». Ma ahimè, entro il partito che dirigeva, proferiva egli angosciato, << non pulsa più l'anima delle masse. Bisogna ritrovarle; se no finiamo come i bissolatiani >>. Egli ha accenti di fuoco contro i codardi, contro gli attendisti. Nè d'aitra parte è disposto a macerarsi in questo lamento. Non voleva essere insomma il curatore di un fallimento. No!, a questo non si sarebbe mai acconciato. Le distanze che una polemica inconsulta, eccitata dalla sconfitta, aveva interposte tra i socialisti, potevano apparire invalicabili. Eppure dove• 314 Biblioteca Gino Bianco '
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