Quanto ad Amendola, l'ultimo discorso del quale è del 6 giugno 1924, il preavviso che a Matteotti era stato dato con una esortazione di prudenza, assume una forma più torturante e più crudele: è come una serie continua di attentati, l'aggressione periodica che finisce con essere una morte propinata a piccole dosi; è come dare alla minaccia criminosa la voce del destino: « Fermati, fermati in questa via! ». Egli non si ferma. Alle prime percosse, Egli oppone la frase che deve restare nella storia : « La mia testa è di cemento armato >>. Procede la preparazione meticolosa del misfatto. Amendola continua; continua impavido. E lo uccisero. Gramsci. Parla, per la prima e l'ultima volta, alla Camera il 16 maggio 1925, con una potenza straordinaria di intuizione politica. Si rivela un capo. Non si aspetta la dichiarazione di decadenza dei deputati aventiniani, lo si arresta nel novembre del 1926. Lo si traduce davanti al Tribunale speciale e l'accusatore, per dare una ragione e una giustificazione della misura della pena (fu condannato a 20 anni di reclusione), si appella a un principio, sin allora ignoto nei trattati di diritto penale: « Per vent'anni noi dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare >>. Il presupposto è sempre lo stesso: un cervello che pensi liberamente, servito da una libera parola : ecco l'ostacolo da sopprimere. All'uno, l'invito, alla prudenza; all' altro, la morte per gradi, mitridaticamente; al terzo, la lenta soppressione della personalità. E lo uccisero. E allora noi possiamo rivendicare al Parlamento questo magnifico olocausto e dire che esso basta a illustrare l'Istituto, a salvarlo da ogni accusa di viltà. In ogni caso essi, questi tre fratelli nostri, avrebbero custodito e riscattato l'onore del Parlamento italiano! 256 Biblioteca Gino Bianco
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