Finchè non ci sarà descritta l'aggressione di Roma, il ricordo di questa prova, può dirci con quale animo Matteotti andò incontro alla morte. Ne aveva il presentimento. A Torino, il giorno della conferenza Turati, un profugo veneto gli chiese: « Non ti aspetti una spedizione punitiva da qualche Farinacci? >>. Rispose testualmente ' COSI: « Se devo subìre ancora una volta delle violenze, saranno i sicari degli agrari del Polesine con la banda romana della Presidenza ». Come segretario del Partito Socialista Unitario aveva condotto la lotta contro il fascismo con la più ferma intransigenza. Rimane il suo volume, « Un anno di dominazione fascista », un atto di accusa completo, fatto alla luce dei bilanci, e insieme una rivolta della coscienza morale. E fu Matteotti a stroncare, non appena se ne parlò, ogni ipotesi collaborazionista della Confederazione del Lavoro; non si poteva collaborare con il fascismo per una pregiudiziale di repugnanza morale, per la necessità di dimostrargli che restavano quegli che non si arrendevano. Come segretario del Partito pensava al collegamento, animava le iniziative locali, le coordinava intorno a questo programma. Compariva dove il pericolo era più grave, incognito suo malgrado, a dare l'esempio. Talvolta osò tornare al Polesine travestito, nonostante il bando, con pericolo di vita a rincuorare i combattenti. Egli rimane come l'uomo che sapeva dare l'esempio. Era un ingenuo politico quadrato, sicuro; ma non si può dire quello che avrebbe potuto fare domani come ministro degli Interni e delle Finanze: ormai è già nella leggenda. Ho una lettera di un lavoratore ferrarese, scritta il 16 giugno: « Come puoi figurarti, qui non si parla di altro e i giornali non fanno in tempo ad 246 Biblioteca Gino Bianco
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