Umberto Terracini e altri - Matteotti

Noi non « commemoriamo >>. Noi siamo qui convenuti ad un rito, ad un rito religioso, che è il rito stesso della Patria. Il fratello, quegli ch'io non ho bisogno di nominare, perchè il Suo nome è evocato in questo stesso momento da tutti gli uomini di cuore, al di qua e al di là dell'Alpe e dei mari, non è un morto, non è un vinto, non è neppure un assassinato. Egli vive, Egli è qui presente, e pugnante. Egli è un accusatore; Egli è un giudicatore; Egli è un vindice. Un vindice Non il nostro vindice, o colleghi. Sarebbe troppo misera e futile cosa. Egli è qui il vindice della terra nativa; il vin dice della Nazione che fu depressa e soppressa; il vindice di tutte le cose grandi, che Egli amò, che noi amammo, per le quali vivemmo, per le quali oggi più che mai abbiamo, anche se stanchi e sopraffatti dal disgusto, il dovere di vivere. E il dovere di vivere è anche, e soprattutto, il dovere di morire quando l'ora lo comanda. Di morire per rivivere; di morire perchè tutto un popolo morto riviva; di morire perchè il nostro sangue purifichi le zolle, le sacre zolle della Patria, che alla Patria - se le fecondi sudore di servi - procacciano messi avvelenate. E questo vivo, che è qui accanto a me, alla mia destra, ritto nella sua svelta figura di giovine arciere, questo vivo di cui voi sentite la voce, di cui voi vedete il sorriso, di cui voi scorgete il cipiglio - perchè non è un'allucinazione, perchè li vedete, perchè non vi inganno - questo vivo, questo superstite, questo ormai immortale e invulnerabile, fatto tale dai nem1c1 224 BibliotecaGino Bianco

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