premo della milizia fascista. In vista di ciò facemmo citare Finzi a comparire come teste, riservandoci di esaminare De Bono in un secondo tempo. Finzi rese una deposizione sobria ed abbastanza cauta. Innanzi tutto protestò contro gli ingiusti attacchi a lui fatti dalla stampa di opposizione, negando energicamente eh' egli avesse potuto avere, nella perpetrazione del delitto Matteotti, alcuna parte, sia pure indiretta. « Io - disse - non mancai di richiamare ripetutamente l'attenzione cli chi di dovere (Mussolini), sul danno e sul grave discredito che ne sarebbe derivato al partito dall'imperversare dell'illegalismo in tutta l'Italia, dalle così dette spedizioni punitive (bastonature, ferimenti, purghe forzate di olio di ricino, danneggiamenti, distruzioni di edicole giornalistiche), ma i miei consigli non vennero mai accettati >>. Aggiunse di aver dovuto tollerare che Dumini e Putato, i quali avevano la protezione del Duce e di Cesare Rossi, s'impossessassero di una stanza al Viminale e vi impiantassero una specie di agenzia di affari. Negò recisamente che il danaro occorrente per commettere i delitti fascisti in Italia fosse stato prelevato dai fondi segreti del Ministero dell'Interno, facendo così comprendere che esso proveniva dai fondi segreti del Partito, amministrati da Giovanni Marinelli, e da quelli dell'Ufficio Stampa, amministrati da Cesare Rossi. Dai fondi segreti del Ministero dell'Interno egli, Finzi, parecchi mesi prima che avvenisse l' assassinio di Matteotti, aveva per ordine di Mussolini versata una cospicua somma nelle mani di Americo Dumini, somma occorrente ad esso Dumini e ad Albino Volpi per recarsi in Francia ad espletare una missione politica segreta ad essi affidata dal Capo del Governo. È facile comprendere di che natura poteva essere una missione segreta in Francia affidata a due gentiluomini della portata di Americo Dumini e Albino Volpi! 154 Biblioteca Gino Bianco
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