Umberto Terracini e altri - Matteotti

to fosse vivo e potesse, quanto prima, tornare in seno alla famiglia. Ella, giungendo le mani in atto di preghiera, mi disse: « Signor Presidente, per quanto ha di più caro al mondo, mi conceda la grazia di farmi parlare con i detenuti che hanno rapito mio marito; io li commuoverò col mio pianto eò essi finiranno col dirmi dove lo hanno nascosto >>. Questa invocazione pietosa mi commosse così profondamente che dovetti fare forza a me stesso per f ren~re le lagrime. Le risposi, con le più dolci parole che mi fu possibile usare in quel momento, che il suo giusto desiderio non poteva essere soddisfatto poichè vi si opponeva la legge e che, anche quando non ci fosse stato siffatto divieto, ella, parlando con quei malandrini, non avrebbe mai raggiunto il suo scopo, giacchè quei ribaldi erano persone del tutto insensibili all'altrui dolore e non avrebbero certamente parlato. Allora si calmò e fece la richiesta dichiarazione che io brevemente rias• sumo. Cominciò col dire che ella aveva purtroppo presentito che il marito, mostrandosi così accanito contro il fascismo in genere e contro Mussolini in ispecie, del quale si conosceva lo spirito di prepotenza e la grande malvagità di animo, si esponeva a un brutto rischio, e perciò lo aveva consigliato - se non a desistere dalla battaglia - almeno a moderarsi nella polemica. Ma Giacomo non aveva voluto prestare ascolto ai suoi consigli. Egli aveva fatto da tempo istanza diretta a ottenere il passaporto, volendo a scopo politico recarsi nel Belgio, ma la sua domanda non era stata accolta. Quattro o cinque giorni prima del ratto, di ritorno dalla Camera le aveva detto: « Sai, Velia, stamane De Bono, senza che io me lo fossi aspettato, mi ha fatto tenere il passaporto. Eccolo! » e le aveva mostrato il documento, aggiungendo: « Ma per ora io non me ne posso servire, se prima 133 Biblioteca Gino Bianco

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