la notte, aveva fatto piantonare i quattro angoli del fabbricato. Pochi giorni dopo vennero affisse rimpetto le finestre di casa mia larghe strisce di carta stampata, sulle quali si leggevano queste parole di minaccia: << Chi tocca il Duce avrà piombo ». Altre leggende del genere venivano affisse sui muri del Palazzo di Giustizia e in tutti i quartieri di Roma. La nave dell'istruttoria, benchè costretta a navigare nel mare insidioso del fascismo, tuttavia filava a vele gonfie. Venne sottoposto a nuovo interrogatorio l'imputato Aldo Putato. Dopo avere a costui reso noto quanto avevano deposto Rossi e Marinelli, gli feci comprendere come ormai fosse vano persistere nella negativa: nel suo interesse era meglio parlare chiaramente. Dopo questa esortazione anche il Putato sciolse la lingua, facendo la seguente importante dichiarazione: « Subito dopo il noto violento discorso di Matteotti, venni per bocca di Dumini a sapere che il Duce aveva ordinato che entrambi ci tenessimo pronti ad agire insieme a Volpi, Viola, Poveromo e Malacria per dare al deputato socialista la lezione che si meritava. In un primo momento credetti che si trattasse semplicemente di infliggere a Matteotti una punizione di bastonatura o di forzata purga di olio di ricino, come si era in precedenza praticato con altri antifascisti, i quali, atterriti dalla lezione ricevuta, si erano astenuti dal fare ulteriore propaganda, ma Dumini non tardò a disingannarmi. Mussolini, mi disse, è irritatissimo contro Matteotti e vuole asso• lutamente che noi l'uccidiamo e poi ne facciamo scomparire il cadavere. Sconcertato, risposi che non mi sentivo il coraggio di prendere parte a così orrendo maleficio, ma Dumini mi caricò d'ingiurie, chiamandomi vigliacco e traditore del partito ed aggiunse queste parole : 126 Biblioteca Gino Bianco
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