' : fatte, egli si chiuse in un silenzio profondo e non volle confessare. Era un uomo di circa quarant'anni, alto di statura, di costituzione assai robusta, dallo sguardo sinistro. A questo punto debbo dire che, quando due mesi dopo si rinvenne sotto un ponte della rotabile Roma-Riano, sulla via Flaminia, la giacca insanguinata di Matteotti, la quale venne riconosciuta dalla signora Velia Titta, volli tentare un esperimento allo scopo di indurre il Dumini a confessare la sua partecipazione al ratto e all'omicidio dell'infelice deputato socialista. Chiamai ad un nuovo interrogatorio il Dumini e tenendo nelle mani l'indumento macchiato di sangue glielo posi sotto gli occhi dicendo : « Guarda questa giacca, è quella della vostra vittima del 10 giugno; di un onesto uomo che non vi aveva fatto alcun male e che, forse, nessuno di voi conosceva di persona. Avete. gettato nel più prof onclo dolore e nella più nera costernazion~ una sposa infelice e una vecchia madre che adorava il figliuolo suo e resi orfani due innocenti bambini ». Mentre gli rivolgevo queste parole lo guardavo fisso negli occhi suoi vitrei. Sostenne impavido il mio sguardo scrutatore, senza muovere ciglio e E-enzamai abbassare la testa in atto di rimorso. Si limitò a rispondere : «Chi mai ha conosciuto questo Matteotti; io non so se sia stato ucciso e chi lo abbia ucciso ». Non assegnò testimoni a discarico, nè nel primo interrogatorio, nè in quelli successivi cui venne sottoposto. Secondo imputato ad essere interrogato fu Albino Volpi, il famigerato squadrista e presidente della società degli Arditi di Milano, l'uomo che il generale De Bono, dopo la sua seconda dichiarazione testimoniale, parlando dei fastidi che esso Volpi dava ai gerarchi fascisti per le sue scorribande nella capitale della Lombardia e dintorni, così definiva: « Volpi in guerra 105 Biblioteca Gino Bianco
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==